I ponti del diavolo sono ricorrenti nel territorio piemontese: un toponimo – a volte ufficiale, altre volte ufficioso – nato nella notte dei tempi e che perpetua il ricordo di antiche leggende popolari.
di Diego Priolo, Gian Vittorio Avondo e Claudio Rolando
I ponti del diavolo sono un tema ricorrente nel mondo fantastico della leggenda, tanto da pensare che Satana di professione faccia l’architetto in quanto a lui è attribuita la costruzione di alcuni tra i più belli e antichi ponti d’Italia: i cosiddetti «ponti del diavolo». Proprio molti di questi si trovano in Piemonte o nelle sue immediate adiacenze, per esempio: a Lanzo, in val Sesia; a Dronero; a Saorge (paese della val Roja che fu piemontese prima del 1861) e in val Germanasca ove, pur non essendoci un ponte, sono ancora visibili i resti di un’opera di canalizzazione assai ardita: la bealera (canale d’irrigazione) del Bessé, detta in occitano lou bial dâ Diaou («il canale del Diavolo»).
Il tema
Le leggende fiorite attorno a questo argomento, i ponti del diavolo, sono tutte frutto dello stupore che, nei secoli, gli uomini palesarono ogni volta che si trovavano al cospetto di uno di questi capolavori, tutti in pietra, ad arco e di origine medievale. Logico quindi che, per sottolineare come la costruzione di queste strutture fosse stata ardua e come l’impresa avesse comportato dei rischi per chi la stava compiendo, non si trovò nulla di più stupefacente che non affidarne la costruzione al re delle tenebre. Caratteristica fondamentale di questi racconti sta nel fatto che il tema di fondo è sempre il medesimo: esso vede il demonio artefice del ponte che l’uomo avrebbe avuto molte difficoltà a realizzare, con gli strumenti di cui disponeva un tempo. Satana dunque viene chiamato in causa ma, poiché è l’incarnazione del male, egli non è mai disponibile a fare favori ad alcuno, se non in cambio di un lauto corrispettivo. È per questo motivo che il diavolo, nell’assumere l’incarico della realizzazione dell’opera pretende, a compenso, di avere l’anima del primo viandante che transiterà sulla struttura.
E le variazioni
Le variazioni sul tema, ancorché poche, stanno semmai sugli espedienti adottati per evitare che il diavolo possa trionfare nella sua opera malefica e allo stesso tempo evitare che egli possa distruggere ciò che ha appena edificato. Ecco allora che a Lanzo, conclusa l’impresa, prima che il ponte fosse aperto al transito i maggiorenti del paese costrinsero un cane a passare sull’altra sponda, facendo infuriare a tal punto l’artefice della struttura, da far sì che egli, lanciandosi nel vuoto verso l’inferno, urtasse contro le rocce sottostanti lasciando impronte durante la caduta: le famose marmitte dei giganti, delle cavità erosive visibili nelle rocce della Stura. Lo stesso racconto si trova a Dronero, ove il merlato ponte del Diavolo varca in modo ardito il torrente Macra, che scorreva così impetuoso da impedire all’uomo la costruzione di una struttura che lo attraversasse. Dopo aver incaricato Belzebù e averne ottenuto la disponibilità in cambio della solita anima del primo viandante, i maggiorenti del paese attesero che stesse per concludere l’opera per buttare sul ponte un pezzo di pane e incitare un cane ad andarlo a raccogliere. L’animale non si fece pregare e passò sull’altra sponda, facendo sì che il costruttore venisse beffato. I ponti del diavolo si trovano però anche altrove. In val Mastallone, per esempio, valle laterale del Sesia, l’ardito e incredibile ponte della Gula (o del Diavolo), con la schiena molto incurvata fu edificato dal maligno su ordine di un eremita che lo minacciò. Se egli non si fosse deciso a dare una mano agli uomini di quelle montagne, infatti, sarebbe stato ricacciato all’inferno dal sant’uomo, che, si ritiene, ne avesse il potere. La fretta e la precisione con cui Satana compì l’opera, stanno a testimoniare quanto egli ci tenesse a poter rimanere ancora nascosto fra gli uomini per seminare zizania tra di loro….
L’inganno della fata
Ma i ponti del diavolo si trovano anche in val Roja. A Saorge, valle che fu italiana fino alla metà del XIX secolo, esiste un Pont du Diable di cui narra una leggenda analoga alle prime due qui raccontate, mentre a Perrero, nel Pinerolese, la grande opera oggi distrutta della Bealera di Bessé, adduceva l’acqua del Germanasca da Massello fino al villaggio che le dà il nome, i cui campi non erano irrigati. Dovendo attraversare salti rocciosi e valloni, la costruzione del canale fu molto dispendiosa, ma alla fine ne risultò un’opera assai ardita, che fu per anni il vanto di quella popolazione alpina. Tali furono le difficoltà realizzative che non poteva non nascerne una leggenda, secondo cui un padre di tre figlie, dovendo lasciare in eredità a una di esse, la più bella, i campi del Bessé, incaricò alcuni muratori di realizzare un canale irriguo. I costruttori trovarono impensabili difficoltà, allora il padre si rivolse a una fata la quale, a sua volta, ne incaricò il demonio. Questi accettò l’incarico, ma pretese in cambio la figlia più bella dell’uomo. La fata, però, aveva predisposto un inganno e disse che per avere ciò che chiedeva il diavolo avrebbe dovuto finire l’opera entro la domenica successiva, prima del cantare del gallo. Il maligno si attivò, ma fu gabbato, perché il sabato notte, a lavoro quasi ultimato il gallo si mise a cantare prima che egli finisse del tutto. È evidente che dietro tutto ciò vi era l’opera della fata, che si era recata nel pollaio con una lucerna, in modo da far luce e far cantare l’animale.
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