Giordano Bruno e il socialismo: visto con gli occhi della nostra epoca, questo accordo sembra suonare stonato. Del resto, che cosa può accomunare un frate «sfratato», vissuto nel sedicesimo secolo, con un partito nato al termine del diciannovesimo? Si tratta in realtà di un legame complesso, figlio di una serie di sedimentazioni culturali accumulate durante tutto l’Ottocento italiano.
Di Roberto Bamberga
Giordano Bruno fu una bandiera dell’anticlericalismo liberale (prima) e radicale (dopo), un punto di convergenza per le diverse tradizioni politiche che animarono il campo della sinistra italiana nei decenni postrisorgimentali. Uno spazio destinato, con l’arrivo del nuovo secolo, a essere sempre più egemonizzato dal discorso socialista, che incorporò Giordano Bruno nella sua galassia di miti e simboli.
Quale Bruno?
La riscoperta di Bruno avvenne nella prima metà dell’Ottocento, negli stati tedeschi allora irrorati dal Romanticismo e – soprattutto – dall’Idealismo. La metafisica bruniana, sebbene in misura minore rispetto a quella spinoziana, non poteva non attrarre l’interesse di una generazione cresciuta a pane ed Hegel. L’unità del tutto, l’immanentismo divino e l’infinità dell’esistente propugnati da Bruno erano infatti temi che stimolavano il dibattito filosofico tedesco nei primi anni dell’Ottocento, e proprio in quell’alveo vennero riscoperti e studiati. Attraverso i testi di autori hegeliani, la figura di Giordano Bruno arrivò così in Italia, dove il clima culturale romantico l’accolse concentrando l’attenzione, più che sul suo pensiero, sulla sua morte al rogo per ordine dell’Inquisizione romana. Una vicenda che sembrava perfetta per il secolo del melodramma, quando la politica si appropriava della carica emotiva proveniente da simboli e personaggi (sfortunatamente) eroici, in un gioco di trasfigurazioni. La stessa frase che il filosofo nolano avrebbe rivolto ai suoi giudici, «avete più paura voi ad emanare questa sentenza che non io nel riceverla», aderiva completamente alle retoriche melodrammatiche contemporanee e, in un gioco di ricalchi tra differenti epoche storiche, consentì a Bruno di essere conosciuto in Italia come il martire del libero pensiero, un simbolo da sventolare contro una Chiesa antirisorgimentale e antimodernista.
Bruno e l’anticlericalismo
La Chiesa contro cui i liberali, i democratici, i progressisti e, successivamente, i positivisti italiani si scagliarono era certamente un’istituzione tra le meno moderne e le meno propense al rinnovamento, sia politico sia di costume. Durante l’Ottocento, e più nello specifico durante i decenni dell’epopea risorgimentale, il papato si era fortemente caratterizzato come forza conservatrice, come punto di riferimento morale per il fronte antiunitario e antiliberale. L’intransigenza di Pio IX (che pure nei suoi primi due anni di pontificato aveva inizialmente concesso spazi a liberali e progressisti) si manifestò a più riprese, culminando, alla metà del secolo, con le condanne contenute nel Sillabo e nell’enciclica Quanta cura. Il liberalismo, il socialismo, il comunismo, il relativismo, l’illuminismo, la massoneria e le forme di pensiero cattolico più avanzate furono colpite dall’anatema papale. Praticamente fu rigettato, in blocco, tutto ciò che nell’ultimo secolo si era affacciato sulla scena della Storia, cambiando l’Europa. La condanna papale è quindi da inscriversi in un più ampio scenario, una lotta tra laici e clericali che infiammò l’Italia negli anni pre e postrisorgimentali. Giordano Bruno filtrò così, con Tommaso Campanella, nel panorama simbolico di radicali, repubblicani, anarchici e studenti universitari. Proprio da questi ultimi prese le mosse la vicenda del monumento al nolano, eretto in Campo dei Fiori a Roma e inaugurato il 9 giugno 1889. Un monumento che voleva, appunto, consacrare la figura del martire, più che del filosofo, del presunto uomo di scienza in lotta contro un’organizzazione cieca, dogmatica e oscurantista. Un simbolo universalizzato, adatto alle battaglie ideologiche di tutte le epoche.
Le fortune di Bruno
Lo scandalo della morte di Giordano Bruno, il suo rogo come capo d’imputazione perenne contro la Chiesa fu quindi il punto su cui si incontrarono tradizioni diverse dell’Italia liberale: l’identificazione di Bruno tra le vittime di una Chiesa percepita come non troppo diversa da quella che doveva essere nel 1600: nemica della libertà scientifica e, in conclusione, della ragione. Una posizione dapprima profilata e affermata nelle università e nei circoli radicali, poi, a metà del secolo, resasi più popolare. Accanto alle prolusioni di personalità intrise di positivismo o attive nella politica, la retorica bruniana poté avvalersi, nei primi decenni dell’Unità, di una vasta produzione editoriale: materiali come libri per la grande diffusione, articoli, stampe e quanto di più popolare si potesse pensare iniziarono a sbucare sulle bancarelle, nelle edicole e nelle librerie. Negli anni Settanta dell’Ottocento fece poi la sua comparsa sui palcoscenici italiani un adattamento del Giordano Bruno di Adolf Wilbrandt, che ne consacrò la vicenda umana nel mondo del melodramma.
Bruno e i socialisti
In questi stessi anni avvenne quindi la saldatura tra il «simbolo» Giordano Bruno e il mondo socialista, allora ancora in formazione. Un incontro avvertibile innanzitutto in quello che costituirà il suo gruppo dirigente, innervato da intellettuali positivisti borghesi, estremamente sensibili ai temi anticlericali rappresentati dal mito di Bruno. In seconda battuta è poi da considerare come nella galassia socialista orbitarono intellettuali quali Antonio Labriola, docente universitario formatosi alla scuola di Spaventa e dell’hegelismo italiano, tra i maggiori esperti del marxismo europeo, che giocò un ruolo non secondario nell’erezione del monumento di Campo dei Fiori e visse in prima linea la polemica che questo generò nella Capitale. Fuori dalle aule delle università e dalle biblioteche, il fascino di Bruno fu avvertito e utilizzato anche da Andrea Costa, forse il rappresentante più attivo e più noto, in quegli anni, del movimento operaio. Il 26 febbraio 1888, nel mezzo di alcune manifestazioni per la memoria di Giordano Bruno, il leader socialista guidò tra le vie di Roma una manifestazione di 20.000 lavoratori edili e, arringando la folla, riconobbe nel frate nolano uno degli iniziatori della «grande battaglia per il benessere universale». Lo stesso Costa, il 9 giugno 1889, partecipò con gruppi socialisti all’inaugurazione del «famigerato» monumento di Campo dei Fiori; la delegazione socialista di Livorno, al ritorno in Toscana, fu accolto in città con drappi di bandiere rosse. Con l’andare del tempo e il mutamento di scenario politico, la lotta contro la «tirannide teocratica» acquistò sempre più spazio all’interno dello scenario socialista.
Viva Giordano Bruno!
Ben lontano dal rimanere confinato nelle élite del movimento e del partito socialista, il mito di Giordano Bruno assunse velocemente popolarità anche tra le masse che ne componevano la base. Nel maggio 1897, per esempio, nel codazzo del corteo pisano in memoria dei caduti di Curtatone e Montanara, non appena raggiunta piazza dei Miracoli si gridò «Viva Giordano Bruno e abbasso i preti!», mentre dieci anni più tardi, il 1° gennaio 1907, sull’Avanti! campeggia la pubblicità di un Calendario Civile per il 1907, che riproduce «un cartone del formato 26 per 88 con la pensosa figura di GIORDANO BRUNO. In alto una riuscita allegoria: due contadini che gettano il seme nella terra feconda. Il blocco di 365 fogli rammenta le date più importanti della Storia dell’Arte, del Lavoro, della Scienza e specialmente rammenta la serie interminabile di delitti perpetrati dall’implacabile nemico della Civiltà e della Scienza: il papato». Si era alla vigilia di un’importante manifestazione anticlericale e altre pubblicità nei giorni successivi avvertivano il lettore del successo del prodotto (già l’11 gennaio erano quasi esauriti). Il senso di quella, come di molte altre manifestazioni, era ravvisabile nella volontà, da parte dei socialisti, di una società orientata verso la scienza e la laicità, dove fossero sciolti i nodi che ancora legavano il clero allo Stato, dato che, nell’ottica socialista, la borghesia liberale aveva cacciato i preti dalla porta solo per farli rientrare dalla finestra. Il partito socialista si prese quindi sulle spalle una battaglia molto più antica, e la veicolò attraverso la propria propaganda popolaresca. Così, oltre alle pubblicazioni popolari come L’Asino, la figura di Giordano Bruno continuò ad animare l’anticlericalismo delle masse attraverso le canzoni, come E quando muoio io non voglio preti (Ma se Giordano Bruno fosse campato/ non esisterebbe più neanche il papato/ non esisterebbe più neanche il papato/ e il socialismo avrebbe già trionfato), lanciando il Giordano Bruno nella galassia socialista.
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