Gli affreschi della cappella di Sant’Eldrado alla Novalesa sono una delle più belle testimonianze pittoriche del Piemonte del XII secolo. Ma accanto all’arte, questi affreschi raccontano storie di santi e di venerazione popolare, un mondo di credenze arrivate, in qualche modo, fino ai nostri giorni.
Di Filippo Ceragioli e Aldo Molino
Novalesa è uno dei luoghi simbolo del Piemonte: situata quasi al termine della Val Cenischia, ai piedi del Rocciamelone e del Moncenisio, per secoli è stato un punto di passaggio, uno dei transiti obbligati da e verso la Francia. Fu inoltre un importante centro di spiritualità con il suo grande e influente cenobio. Il periodo di maggior splendore dell’abbazia della Novalesa (così nota e così poco conosciuta) coincide con la reggenza dell’abate Eldrado, nel IX secolo, prima che i saraceni contribuissero a ridisegnare la geografia politica europea (la stessa abbazia, secondo la tradizione, fu da questi saccheggiata e distrutta nell’anno 906).
Eldrado fu santo e taumaturgo, e nei pressi della cappella a lui intitolata si trova una fonte le cui acque curerebbero gli occhi; tenuto in grande considerazione dalle popolazioni locali, la tradizione vuole che il santo abbia liberato dai serpenti che la infestavano la conca di Briançon. Proprio alla vita del santo abate fanno riferimento gli straordinari affreschi del secolo XII d’ispirazione bizantina che decorano la piccola cappella che gli è dedicata e che si erge solitaria nel parco a balcone sulla valle. Tesoro artistico non sempre accessibile, rappresenta uno degli elementi di maggior interesse e più intriganti del complesso monastico, che vanta anche altre importanti testimonianze storiche e un interessante museo.
San Nicola
Ogni anno, l’ultima domenica di marzo, una processione si snoda dalla casa parrocchiale del borgo sino alla cappella, per poi concludersi con la messa solenne nella chiesa abbaziale. La banda, i coscritti, le donne velate e le autorità religiose accompagnano la teca d’argento che conserva le reliquie di Eldrado e che solo in quell’occasione è possibile venerare. Gli affreschi, però, oltre che alle sue, raccontano anche le gesta di san Nicola. Ma che ci fa un santo di solito ricollegato a Bari nella cappella di Sant’Eldrado?
Nicola era vescovo di Myra, nell’attuale Turchia. All’epoca delle crociate, nel 1087, mercanti italiani trafugarono i suoi resti, che approdarono a Bari. Un dito del santo, però, trafugato a sua volta come reliquia di tutto rispetto, prese un’altra strada e transitò dall’abbazia di Novalesa proprio nei giorni in cui si iniziavano a dipingere gli affreschi di Sant’Eldrado. La fama di Nicola valse così un ciclo di pitture, a scapito però di sant’Arnolfo. La venerazione per quest’ultimo era legata all’importanza che aveva registrato nel mondo carolingio, dove era visto come un precursore della dinastia. Gli veniva attribuito un miracolo singolare: durante il suo funerale, in una torrida giornata di luglio dell’anno 641, migliaia di persone accaldate riuscirono a dissetarsi grazie alla birra inesauribile che sgorgava da un solo boccale, che una volta vuotato tornava a riempirsi. Con il succedersi degli anni, Nicola superò però Arnolfo nella considerazione e nella venerazione popolare, tanto da assumere un enorme rilievo nel mondo germanico. Forse perché nei giorni di dicembre in cui ancora oggi cade la sua festa il sole sta per terminare la sua parabola discendente per ricominciare da li a poco a salire nel cielo. Quello era il periodo in cui il mondo pagano celebrava il risveglio della natura e formulava i suoi auspici di fertilità con riti ai quali il Cristianesimo aveva sovrapposto il natale ma senza riuscire a farli sparire.
Gli affreschi
Gli affreschi evidenziano alcuni degli episodi più leggendari legati alla figura di san Nicola. Una prima storia racconta come il santo, benché in fasce, rifiutasse di venerdì il seno materno per rispetto delle disposizioni ecclesiastiche, che per quel giorno imponevano digiuno e penitenza. Un altro episodio mostra Nicola che, a Myra, debellato il culto degli dèi pagani e in particolare di Diana, appare ai suoi devoti mentre navigano, diretti al suo sepolcro, per convincerli a buttare in mare l’olio velenoso avuto dalla dea in sembianze di strega.
san Nicola ancora oggi in molti paesi cattolici di lingua tedesca compare la notte del 5 dicembre per portare doni e tenere a bada gli spaventosi Krampus.
Un altro riquadro si riferisce alla leggenda del ricco mercante che, caduto in miseria, non avendo denaro a sufficienza per provvedere alla dote delle figlie, medita di avviarle al meretricio ma san Nicola le soccorre donando la somma necessaria per il loro matrimonio. Un quarto episodio mostra il santo che salva con il suo intervento miracoloso tre ragazzi che stanno per essere uccisi da un crudele miscredente. Questi ultimi due miracoli forse contribuirono al successo popolare dell’antico vescovo, che nell’immaginario popolare assunse un po’ il ruolo del dispensatore di regali e benefici, se meritati.
Chissà che in qualche modo le reminiscenze pagane e l’utilità di una figura che ricordasse ai bambini la convenienza dell’essere «buoni» abbiano agevolato la figura di san Nicola, che ancora oggi in molti paesi cattolici di lingua tedesca compare la notte del 5 dicembre per portare doni e tenere a bada gli spaventosi Krampus. E sempre lui, attraverso vicende che sarebbe molto lungo raccontare, è diventato Santa Klaus, cioè Babbo Natale.
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