Allo scoppio della seconda guerra di indipendenza, per un mese Novara fu occupata dalle armate austriache, isolata dal resto del mondo. Il diario di un anonimo cittadino ricorda quei giorni.
di Roberto Bamberga
Certo non mancano le fonti per ricostruire una delle pagine più importanti della storia italiana, la seconda guerra di indipendenza. Ma accanto alla storia militare e diplomatica, i pensieri della gente comune che visse gli avvenimenti lontano dal fronte continuano a incuriosire storici e lettori. E non potrebbe essere altrimenti.
Nel 1959 Giovanni Barbero pubblicò, su un numero monografico del Bollettino storico per la provincia di Novara, un’anonima «cronichetta popolare» dove si raccontava l’occupazione austriaca del 1859 vista attraverso gli occhi di un abitante della città. Una decina di pagine manoscritte, che Barbero trovò tra i fondi della biblioteca Negroni, interessanti ancora oggi, a distanza di più di un secolo e mezzo. Ne emerge infatti un quadro particolare, quello di una città isolata dal resto del mondo, con una popolazione incuriosita e affamata di notizie. Un continuo parlottare nelle vie, tra false informazioni e smentite: un gioco del «telefono senza fili» che animò e forse divertì i novaresi, frementi nell’attesa di veder sbucare all’orizzonte l’esercito franco-piemontese.
Arrivano gli austriaci
Il 27 aprile, giorno di apertura delle ostilità, la città si trovava già abbandonata dalle autorità piemontesi e dai carabinieri. Sospese le poste e il servizio ferroviario, Novara attese l’incontro con il nemico. Il 30 aprile 1859, intorno alle due del pomeriggio, gli austriaci iniziarono a tagliare i fili del telegrafo avvicinandosi alla città. Quando le giacche bianche passarono le porte urbane, gli ufficiali trovarono posto nei ridotti dei caffè, mentre i soldati si acquartierarono sotto le stelle.
Così inizia la «cronichetta»: «nella giornata di sabato 30 aprile differenti crocchi si formarono sulle piazze, nelle strade per udire le novità. Si sapeva che le truppe austriache avevano invaso Vigevano, alcuni le volevano rivolte verso Mortara altri […] verso Novara. Le notizie più contraddicenti si succedettero tutta la mattina. La città era tranquillissima, le botteghe erano aperte, la popolazione intera era in strada. Verso le due ore pomeridiane annunciarono vedersi un drappello austriaco sulla strada di Trecate [che conduceva al Ticino e alla Lombardia], allora la popolazione in massa si diresse verso la porta di Milano [da cui entrava in città la strada di Trecate] […] rassicurata e quasi gioliva nel vedere la guerra cominciata […]. Poco stante il municipio, col vescovo, andarono incontro alla truppa, informandola che la città era inerme e non presidiata da soldati. Alle due e mezzo precise l’avanguardia giunse sul rondò di porta Milano e di li prese la strada di circonvallazione e andò a occupare la stazione della ferrovia, con cinquanta uomini».
Gli austriaci requisirono animali e denaro, mentre il grosso dell’esercito arrivò dopo le avanguardie. Si trattava di soldati stanchi dalla marcia: il giorno prima erano partiti da Bergamo per Abbiategrasso e da lì ripartiti fino a Novara. Il loro accampamento divenne l’attrazione principale per i «villani», che domenica 1° maggio arrivarono in città dalle campagne, per nulla intimoriti dall’esercito «invasore». L’esercito piemontese, schierato più a sud oltre il Po, intorno ad Alessandria e Valenza, attendeva l’arrivo dell’alleato francese.
In una città così isolata, i capannelli che si formarono spontaneamente nei caffè e nelle piazze rimbalzavano notizie a volte surreali e a volte ingrandite: un «telefono senza fili» che consentì di far passare il tempo. La tranquillità con cui la popolazione visse l’invasione, come sottolineato dalla cronaca anonima, la dice lunga sulla certezza con cui novaresi attendevano l’arrivo dell’esercito alleato. In questi primi giorni qualcuno percorse il perimetro dei bastioni tendendo l’orecchio alla ricerca delle cannonate. Ma ancora nulla.
«Questa mattina, 10 maggio partirono diverse truppe, non più dirette a Vercelli ma verso Mortara. Decisamente vi è sotto qualcosa di grosso, ma noi siamo all’oscurità».
La città magazzino e le manovre «inspiegabili»
Durante tutto il mese di maggio a Novara furono di stanza, ogni giorno, dai 600 ai 3000 soldati austriaci. Il 5 iniziarono i trasporti dei magazzini dell’esercito da Vigevano. Una manovra che qualcuno interpretò come il segno di un’imminente ritirata. Ma così non fu. Il giorno successivo arrivò un convoglio ancora più numeroso, scortato da soldati veneti, sudditi dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe.
L’8 maggio i viveri presero la strada di Vercelli. I novaresi compresero bene il senso di questo spostamento: gli austriaci avevano già passato il fiume Sesia e forse puntavano su Torino. Tra il 7 e l’8 maggio l’anonimo scrisse: «Arrivano soldati, ne partono degli altri e non si può capire quali siano le cause di questi movimenti incomposti […]. I paesi lungo la Sesia sono tutti occupati: Borgovercelli, Casalvolone, Villata hanno guarnigione: requisiscono buoi, fieno, farina, ma non fanno alcun male».
Tra le fila dell’esercito di stanza a Novara si lessero i segni di un malcelato nervosismo: alcuni soldati negarono il saluto a un comandante, mentre si segnalò una zuffa tra militari italiani e croati per il rancio. Nel pomeriggio del 9 maggio alcuni pezzi di artiglieria giunti da Vercelli furono spostati verso Mortara. «Domenica 9 maggio verso le quattro pomeridiane un grosso parco di cannoni, in numero di novantadue, arrivò da Vercelli a Novara […] e si diresse verso la strada della Bicocca. L’allegria si sparse nella popolazione. Questa repentina ritirata faceva supporre che i nostri avessero passato il Po e che minacciassero per di dietro gli austriaci» Il giorno seguente: «questa mattina, 10 maggio partirono diverse truppe, non più dirette a Vercelli ma verso Mortara. Decisamente vi è sotto qualcosa di grosso, ma noi siamo all’oscurità». Cosa stava accadendo? L’arrivo delle forze francesi via Genova aveva interrotto l’avanzata austriaca verso ovest: le truppe in giubba bianca decisero di ripiegare verso Mortara, per evitare di essere tagliate fuori da un eventuale attacco alleato. Questo, ovviamente, il nostro anonimo non poteva saperlo.
Il 12 maggio le vettovaglie austriache ancora in città presero la via di Trecate, più vicine al Ticino e alla Lombardia. Seguirono i carri dei feriti e dei soldati malati, fino ad allora ricoverati in un ospedale improvvisato. Tra il 13 e il 15 maggio l’anonimo annota il «continuo arrivo e partenza di soldati che vengono da Milano, pernottano a Novara e partono per Mortara».
Finalmente il 18 maggio, tutto il giorno, da Novara si udirono colpi di cannone. «Dalle due del mattino si sente un forte cannoneggiare nella direzione di Valenza. Al fondo dell’allea, sui bastioni, la popolazione si affolla con aria di contentezza. Il rimbombo del cannone si ode tutta la giornata, fino a notte scura, senza poter sapere il motivo e il risultato: tutti sperano che i nostri hanno preso l’offensiva». A sud di Novara erano effettivamente iniziati movimenti e scontri di truppa che portarono alla battaglia di Montebello, combattuta il 20 maggio e vinta dai franco-piemontesi.
Garibaldi
Fin dal loro arrivo a Novara, la domanda ricorrente degli austriaci fu una sola: dov’è Garibaldi?
L’eroe dei due mondi era infatti lo spauracchio delle giubbe bianche: sapevano benissimo che il generale non avrebbe condiviso il fronte con il re e l’imperatore, ma avrebbe mosso guerra all’Austria separatamente, battendo altre strade. «Pattugliavano di notte e spingevano le medesime [pattuglie] tutte all’intorno, sorvegliando le strade e le persone, alle quali dimandavano sempre conto di Garibaldi, che è la loro Beffana».
Il 19 maggio fu una giornata parecchio movimentata: «uno scoppio fortissimo in direzione di Vercelli ci fa supporre che il ponte [sul Sesia] è saltato; pure nella giornata nessun avviso». L’attesa svanì il giorno seguente: «Giungono notizie da Vercelli, le quali portano che gli austriaci si sono ritirati da quella città e che dopo il loro passaggio hanno fatto saltare il ponte». Aggiunge ancora: «si spargono voci vaghe che Garibaldi sia a Gattinara. Ma siccome questa è la decima volta che si sparge tale notizia nessuno ci presta fede».
«un’osservazione curiosa è che i soldati ricoverati all’ospedale erano tutti feriti nella schiena o nelle parti posteriori»
La notizia è invece vera, questa volta, confermata il giorno successivo, 21 maggio, quando il nostro scrisse: «che Garibaldi sia a Gattinara è un fatto. Ieri sera la sua avanguardia era alla Sesia. Un drappello di venticinque ulani che perlustravano, si avvicinarono al fiume; la sentinella di Garibaldi fece fuoco; gli ulani si scostarono e tentarono di tagliare il cordone del ponte. Ma siccome la popolazione tumultuava, fuggirono». Il 22 maggio «dopo superata la Sesia, Garibaldi, passando per Romagnano e Borgomanero, andò in due colonne a Castelletto sopra Ticino; ivi passò il fiume e si portò di sorpresa a Sesto Calende, dove fece prigioniero il commissario distrettuale, i gendarmi, guardie di finanza e diversi soldati: in totale quarantacinque persone che furono spedite a Biella».
In quei giorni nelle strade di Novara si videro soldati austriaci feriti. Non senza ironia l’anonimo annotò: «un’osservazione curiosa è che i soldati ricoverati all’ospedale erano tutti feriti nella schiena o nelle parti posteriori».
La ritirata delle giacche bianche
La mattina del 21 maggio gli austriaci distrussero i loro cavi del telegrafo; intorno alle sei di sera la circonvallazione di Novara si riempì di carri pieni di feriti, di munizioni e di pentole diretti verso Trecate. I soldati, non di buon umore, presero a calci e minacciarono qualche novarese eccessivamente impudente, colpevole di essersi spinto troppo vicino a loro, forse alla ricerca di informazioni.
Il 24 maggio «verso le dieci di mattina si vidde retrocedere della truppa da Vercelli: la cavalleria andò alla stazione e la truppa si fermò dietro l’Agogna: si credeva fosse inseguita dai nostri: ma fu un sogno. La cavalleria, entrando in città per prendere il bestiame […] prese il galoppo, mise lo spavento ad alcuni sciocchi paurosi che erano a porta Torino e che, come sempre coloro che sono i più curiosi, sparsero l’allarme correndo per la città, di maniera che in un attimo tutte le porte e le botteghe furono chiuse […]. Al dopo pranzo arrivò un battaglione di fanteria che si trovava, con quattro cannoni, verso l’Agogna. Altro allarme, al solito, perché la popolazione affollandosi intorno ai medesimi, il maggiore per sbarazzarsi della medesima, ordinò alla testa della colonna di abbassare i fucili. Altra fuga, altro allarme, nuova chiusura delle botteghe e infine la solita risata, per non sapere perché e donde venivano tali paure».
Altri movimenti di truppa, poi il 30 maggio la città sente un «gran cannoneggiamento dalla parte di Robbio [a poca distanza da Palestro]. Si crede che gli alleati abbiano preso l’offensiva. Si parla di fatti gravi». 31 maggio: «si sparge la notizia che il re abbia battuto gli austriaci a Pallestro [ovvero Palestro] e Vinzaglio e che questi si siano ritirati». I novaresi non si sbagliavano: piemontesi e zuavi francesi avevano battuto l’esercito di Francesco Giuseppe, proprio a Palestro.
Vive l’Empereur!
Il 1° giugno la svolta. «Di buon mattino si sente la fucilata fuori dalla porta di Torino; dall’allea si vedono i francesi a scambiarsi dei colpi con i nemici. Tutto ad un tratto alcune voci gridano ‘i francesi sono alla porta di Torino’. Infatti un colonnello di cavalleria e alcuni ufficiali si affacciano alla porta: chiedono se in città vi si trova della truppa nemica. Alla risposta negativa, entrano dei squadroni di cavalleria, mentre la fanteria gira intorno alle mura. Avvisato il colonnello che alla porta di Milano vi erano due cannoni rivolti verso la città ‘Tanto meglio – esclama – noi andremo a prenderli’ e ordina il galoppo […]. Gli austriaci accampati intorno alla città si ritirano facendo fuoco. Inseguiti per qualche tratto, i nostri si diressero verso Vespolate, dove camminava il nerbo del corpo nemico».
«Nella città la circolazione di persone è quasi impossibile tanto è il numero dei soldati francesi».
«I francesi arrivano in massa impossibile da descriversi. Nella città la circolazione di persone è quasi impossibile tanto è il numero dei soldati francesi. […]. Nelle ore pomeridiane, ore quattro e mezza, arrivò l’imperatore Napoleone; ricevuto festosamente, andò ad alloggiare nel palazzo Bellini […]. Alla sera [del 1° giugno] Novara fu illuminata. Il 2 giugno, alle sette del mattino, arrivò il re, che andò diffilato dall’imperatore. Frenetici applausi». Le truppe continuarono ad affluire in città anche il 3 giugno, mentre i ponti sul Ticino, fatti saltare dagli austriaci per coprirsi la ritirata, vengono fatti ricostruire. Il 4 l’imperatore lascia Novara e il 5 arriva in città il bollettino della battaglia di Magenta. La strada per la Lombardia è aperta.
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