Intervista ad Aldo A. Settia sulle razzie dei saraceni nel Nordovest italiano. Una delle pagine più controverse dell’Alto Medioevo europeo.
Di Roberto Bamberga
A Sampeyre, paese in provincia di Cuneo circondato dalle Alpi, la festa popolare della Bahio ricorda la vittoria delle truppe locali contro i saraceni, avvenuta nell’Alto Medioevo. Il Moro di Mondovì, protagonista del carnevale locale, rimanda ad altre ipotetiche scorrerie occorse negli stessi anni. Allo stesso modo, molti altri paesini a ridosso delle montagne preservano nel loro folklore la figura del saraceno, vista perlopiù come un nemico venuto da lontano e nascosto tra i passi alpini.
Per sapere cosa c’entrino i saraceni (tradizionalmente rappresentati a solcare il Mediterraneo e a devastarne le città) con le valli alpine del Nord Ovest è necessario richiamare una pagina ancora poco nota della storia europea, la conquista araba di Frassineto, identificata con l’attuale La Garde-Freinet, poco distante da Saint-Tropez. Qui i saraceni riuscirono a insediarsi per quasi cent’anni (dall’890 circa al 970-980) muovendo al saccheggio della Provenza, della Liguria e del Piemonte, giungendo fino ad aree alpine molto distanti dal mare (è il caso di San Gallo, in Svizzera). A lungo ignorati dai signori feudali, dopo un primo tentativo orchestrato da Re Ugo di Provenza (nel 942) furono scacciati da un esercito composto da forze liguri e provenzali, guidate da Guglielmo I di Provenza e aiutate da Arduino il Glabro.
Ma la memoria delle razzie saracene segnò l’immaginario alpino: con il passare dei secoli toponimi, feste e folklore hanno ingigantito il ricordo di questo particolare periodo. Siamo andati alla ricerca della verità storica racchiusa in questa serie di miti e leggende locali, intervistando il professor Aldo A. Settia, già professore di Storia medievale all’Università di Pavia.
Verità o leggenda?
Leggende di devastazioni e rovine hanno accompagnato e, forse, ingigantito la fama di Frassineto. In alcuni casi, inoltre, le razzie saracene si confondono con quelle coeve perpetrate dagli Ungari. Per lo storico che approccia il tema, quindi, il primo problema potrebbe proprio essere quello della trasparenza e dell’affidabilità delle fonti?
L’analisi e l’attendibilità delle fonti è la prima cosa da valutare, soprattutto su questo argomento di cui sappiamo, in realtà, veramente poco. Innanzitutto bisogna separare le fonti scritte, documentarie, dalle leggende orali e dalle indicazioni toponomastiche: numerose «torri saracene», come «monti mori», sono sparsi qua e là su entrambi i versanti delle Alpi ma i loro toponimi non hanno di solito alcun fondamento reale.
Lo stesso discorso vale per il folklore, spesso considerato invece espressione di una memoria popolare. Anche tra le fonti scritte però è necessario fare una selezione: accanto a fonti ormai considerate un classico sull’argomento, Liutprando di Cremona (920-970 circa), esistono fonti false, redatte nel Trecento o nel Quattrocento per rendere più avvincente la storia locale. Per la stessa ragione le incursioni saracene furono esagerate all’estremo dalla storiografia successiva.
Può farci qualche esempio?
Nell’Ottocento furono trovate delle sepolture a Vinchio, in provincia di Asti, in un luogo conosciuto come «bricco dei saraceni». L’attribuzione delle tombe ai pirati arabi fu immediata. Ed era ovviamente erronea. Nel Seicento il prevosto Meiranesio attribuì un’incursione saracena contro la Novalesa all’abbazia di Pedona. In questo modo si moltiplicarono i fatti rispetto alla realtà.
Ma ancora nel Medioevo tutto ciò che era strano, fuori dall’ordinario, era «saraceno». I resti delle città romane in Provenza erano resti «saraceni», le tegole romane riutilizzate per le manutenzioni delle torri erano «saracene» e così via.
Chi erano i pirati saraceni che infestavano il mare in quegli anni? Abbiamo qualche dato su chi fossero e da dove arrivassero?
Arrivano dall’Africa e poi dall’emirato (successivamente califfato) omayyade di Cordoba, nella penisola iberica. Questa è un’informazione che abbiamo direttamente da Liutprando. Si trattava di una realtà politica tutt’altro che sconosciuta nell’Europa cristiana: quando Ottone I (912-973) divenne imperatore e re d’Italia decise di impegnarsi contro le scorrerie saracene e inviò delle ambasciate a Cordoba. Il dialogo fu ripreso anche in seguito, tanto che lo stesso Ottone ricevette alla sua corte un emissario arabo, cui Liutprando dedicò il suo libro. Siamo a metà del Decimo secolo e quest’azione dimostra come la politica europea non rimase cieca verso Frassineto per cent’anni.
Le modalità di approccio al problema furono di volta in volta differenti. Frassineto poi non fu un unicum: la Sicilia era in mano saracena, avvennero incursioni a Roma, nell’Italia centrale e meridionale dove Bari per trent’anni fu retta da un emirato. Anche nel Garigliano c’erano basi simili a quelle del Frassineto: siamo davanti a un fenomeno più ampio, più globale.
Il covo: Frassineto
Siamo sicuri della localizzazione di Frassineto con La Garde-Freinet?
Fraxinetum non era il nome di un singolo luogo ma era una regione limitata intorno al golfo di Saint Tropez. Liutprando non sa bene dove sia Frassineto: sa che c’è, da qualche parte tra l’Italia e la Provenza, ma non dice esattamente dov’è. La posizione presunta viene stabilita solo da documenti successivi, nessuno ce lo dice nel momento in cui accadevano i fatti.
La vita quotidiana a Frassineto purtroppo possiamo solo immaginarcela! Nessuno ne parla. Le fonti latine sono redatte da quanti subirono le spedizioni saracene: si lamentano, dicono peste e corna dei saraceni riproponendo un modello letterario: i cronisti vedevano nei saraceni una punizione per i loro peccati.
Si è pensato che nell’Italia Nord-Ovest i saraceni abbiano rappresentato una delle più importanti cesure con il mondo antico. Qualcuno ha infatti voluto collegare le loro razzie all’abbandono di vecchi agglomerati urbani per nuove città più facilmente difendibili. Ritiene corretta questa analisi o i dati raccontano altro?
Non direi. Per fare un esempio, da quanto ne so io, in Piemonte non vi furono abbandoni di città in seguito alle scorrerie saracene o ungare. Lo si è supposto nel caso di Acqui Terme, che si arroccò nella parte alta della città, ma non abbiamo elementi per esserne certi. Va anche ricordato come l’incastellamento, spesso, fu un processo avviato per mettersi al sicuro da nemici interni più che per difendersi da quelli esterni. Le costanti lotte tra le diverse fazioni in quegli anni costituirono un elemento di forte insicurezza, ben più elevato di quello rappresentato dalle incursioni saracene.
Anche le antiche città romane lasciate in rovina nelle campagne erano già state abbandonate. Tuttavia, anche in questo caso val la pena ricordare come non sia mai esistito un solo barbaro interessato a distruggere le città per il solo gusto di distruggere; gli abbandoni seguirono sempre altre scelte, legate alle rotte commerciali e alla sicurezza del territorio.
Pare però che la diocesi di Alba fosse completamente incapace di svolgere le proprie funzioni dopo le scorrerie saracene.
Qui in realtà non accadde ciò che sembra. Sicuramente da Frassineto e dal mare arrivarono delle incursioni a sconvolgere il territorio albese, facendo danni. L’evento fu però strumentalizzato politicamente a metà del Decimo secolo dal vescovo di Asti Rozone (m. 992), un protetto della moglie di Ottone I. Rozone voleva impadronirsi della diocesi di Alba e riuscì a ottenerla con l’assenso del papa e dell’imperatore; per motivare questo passaggio fu scritto che la diocesi fosse incapace di reggersi in piedi a causa delle scorrerie saracene. Ma già pochi anni dopo Alba tornò autonoma: gli ipotetici danni causati dal passaggio dei saraceni non dovettero essere così gravi.
È possibile risalire a una descrizione di Frassineto durante l’occupazione? Delle attività che la animavano, dell’organizzazione interna, politica e amministrativa? Inoltre, la domanda ovviamente segue la precedente: i saraceni provarono a estendere il loro dominio sul territorio circostante? E Il bottino della razzie che strada prendeva (in nave verso la Spagna)?
Eh, la vita quotidiana a Frassineto purtroppo possiamo solo immaginarcela! Nessuno ne parla. Le fonti latine sono redatte da quanti subirono le spedizioni saracene: si lamentano, dicono peste e corna dei saraceni riproponendo un modello letterario: i cronisti vedevano nei saraceni una punizione per i loro peccati. Sull’altra sponda, le fonti arabe che conosciamo confermano l’esistenza di Frassineto, ma nulla di più. Nessuno ci racconta cosa mangiassero, come dormissero o come si comportassero. Ciò che è accertato è che razziavano ricchezze (i monasteri erano tra gli obiettivi preferiti) e, soprattutto, cercavano schiavi, merce molto richiesta e molto ben pagata nel mondo mediterraneo.
Si deve ritenere che a Frassineto ci fosse un porto, utile a imbarcare schiavi e tesori verso la Spagna omayyade. Un ipotesi avvalorata anche dal ritrovamento, nel golfo di Saint Tropez, di alcune navi affondate: grazie agli oggetti stivati all’interno si è stabilito fossero navi in arrivo dalla Spagna, forse coeve all’epoca delle scorrerie saracene. Di contro, tutte le indagini svolte nell’entroterra, intorno a La Garde-Freinet, non hanno invece portato a nulla: anche l’archeologia, su questo tema, non ha ancora fornito prove inoppugnabili.
In tutti questi casi stupisce l’abilità e l’adattabilità dimostrata dai saraceni, marinai impegnati in spedizioni attraverso passi e vallate alpine. Si sono avanzate le ipotesi più disparate su questo argomento. Potrebbe anche essersi trattato di «complici» locali, gente pratica di montagna che aveva fatto causa comune con i saraceni. Bande di delinquenti considerati saraceni ma che tali non erano, attive a taglieggiare pellegrini e commercianti.
Convivenze e connivenze
Come è stato possibile che Frassineto sia durata quasi un secolo? E come mai i tentativi di liberarsi dei saraceni furono relativamente pochi? Come considera l’episodio di re Ugo, che dopo aver orchestrato un attacco a Frassineto con l’aiuto della marina bizantina decise, invece di chiudere i conti, di riappacificarsi con i saraceni nel timore di venir attaccato di sorpresa dal suo avversario, Berengario II?
Nel caso di re Ugo, in quegli anni i saraceni erano già impiantati al Frassineto. Avevano già esteso la propria area di influenza in Provenza, sui passi montani e messo in pericolo città. Ugo aveva grandi capacità di governo, senza dubbio, e fu anche re d’Italia: da qui la preoccupazione che Berengario II gli sfilasse la corona. È un aspetto importante: anche in questo caso gli avversari interni sono più pericolosi di quelli esterni. Per molto tempo Ugo trascura saraceni e ungari perché probabilmente questi non costituivano un gran pericolo per il suo regno: anche questo riduce la leggenda, il mito intorno ai saraceni del Frassineto; per il sovrano della Provenza l’enclave araba è fonte di problemi trascurabili, almeno fino a un certo punto. Solo dopo aver eliminato i nemici più pericolosi Ugo si occupa dei saraceni.
Non vanno poi trascurate le relazioni più trasversali. Lo sappiamo con certezza per quanto riguarda l’Italia del sud e possiamo sospettarlo anche per Frassineto: i saraceni erano spesso richiesti dai potenti dell’epoca come mercenari. Erano una forza dalla grande potenzialità militare. Non dobbiamo quindi dimenticare le relazioni, i collegamenti e le complicità che i saraceni ebbero con gli indigeni, con coloro che avrebbero dovuto respingerli.
La richiesta di intervento ai bizantini ci porta invece a un altro punto importante per capire questa storia: il regno italico, come tutti quelli sviluppatisi nel territorio del vecchio impero romano d’Occidente durante l’Alto Medioevo, non disponeva di una sua flotta, era assolutamente indifeso contro gli attacchi portati via mare. L’imperatore romano d’Oriente era l’unico sovrano in grado di opporsi agli arabi nel Mediterraneo.
Ai saraceni di Frassineto sono imputate la distruzione di Frejus e di Aix en Provence, il saccheggio di vari monasteri sui due versanti delle Alpi (su tutti citiamo la Novalesa, in provincia di Torino); gli si addebitano sortite a Embrun, Oulx e addirittura a San Gallo. Per un periodo pare abbiano bloccato i più importanti passi alpini. Nella piana si contano razzie ad Acqui Terme, sortite nell’area monregalese e forse fino a Vercelli. Senza contare ovviamente le azioni in Liguria. Ritiene possibile tutto ciò?
Torniamo però sempre al problema delle fonti. Frejus, importante porto in età romana, s’insabbiò, non sappiamo quando. Questo comportò una drastica riduzione delle sue attività economiche e commerciali: in un simile quadro non siamo in grado di dire quanto le scorrerie saracene siano state cruciali per la sua sparizione. La Novalesa fu sicuramente abbandonata: i monaci andarono prima a Torino e poi a Breme, in Lomellina. Anche qui però la cronaca di quegli avvenimenti fu redatta solo un centinaio di anni dopo. A Oulx è documentata una situazione di abbandono ed è possibile che i saraceni siano giunti fino a San Gallo. Anche qui però la cronaca di questo evento è stata scritto solo molto tempo dopo e capire quanto ci sia di vero e quanto di fantastico è difficile.
In tutti questi casi stupisce l’abilità e l’adattabilità dimostrata dai saraceni, marinai impegnati in spedizioni attraverso passi e vallate alpine. Si sono avanzate le ipotesi più disparate su questo argomento. Potrebbe anche essersi trattato di «complici» locali, gente pratica di montagna che aveva fatto causa comune con i saraceni. Bande di delinquenti considerati saraceni ma che tali non erano, attive a taglieggiare pellegrini e commercianti.
Altre fonti storiche indagate sono le liste vescovili. Alcuni di questi elenchi, riportanti i nomi dei vescovi, presentano vuoti negli anni in cui la presenza saracena fu più forte. Qualcuno ha dedotto fossero dovute alla fuga davanti ai saraceni o allo spopolamento causato dalle loro razzie. Ma sono solo deduzioni, non abbiamo certezza storica di questi buchi; le ragioni possono essere molteplici.
Comment
Ho scritto un libro sui Saraceni alpini che porta luce nuova su questi misteriosi individui…
Joseph Henriet
Nos ancetres les Sarrasins des Alpes
Edizioni Cabedita/Slatkine- Ginevra