San Giulio, isola del lago d’Orta, conserva molto bene, grazie alla sua stratificazione archeologica, il ricordo dei secoli passati. La sua chiesa è uno scrigno d’arte in mezzo al lago.
Di Simone Caldano.
La piccola isola di San Giulio, situata nel cuore del lago d’Orta, è uno dei più antichi centri di culto cristiano del territorio piemontese. Gli scavi archeologici degli anni Ottanta hanno chiarito le tappe più importanti di una storia complessa.
L’Alto Medioevo e l’assedio
All’azione di San Giulio, sacerdote greco che alla fine del IV secolo fu incaricato dall’imperatore Teodosio di diffondere il messaggio evangelico nel medio Novarese, è stata riferita la prima chiesa, della quale rimane pochissimo: gli specialisti hanno ipotizzato un impianto a trifoglio. La seconda chiesa, costruita tra la fine del V e la metà del VI secolo, era molto più grande: a tre navate (o a una navata con annessi di pari lunghezza verso nord e verso sud), nel 553 fu la sede della sepoltura di Filacrio, vescovo di Novara. È possibile che i disordini della guerra greco-gotica avessero suggerito uno spostamento temporaneo della sede diocesana sull’isola, che si poteva difendere più facilmente. Il capitolo dei canonici è documentato per la prima volta nell’892, mentre nel 911 è citata per la prima volta la connessione tra la chiesa e l’importante castello. Dopo l’assedio dell’imperatore Ottone I nel 962 contro re Berengario II e sua moglie Villa – assedio che non comportò la totale distruzione della chiesa, come è stato spesso affermato – la facciata della chiesa fu arretrata, ma soltanto nella prima metà del XII secolo fu costruito l’imponente edificio che ancora oggi possiamo ammirare. In un piccolo annesso adiacente allo scurolo settecentesco è possibile vedere la planimetria di scavo, con indicazione delle diverse fasi, e i preziosi reperti restituiti da queste indagini: le coloratissime tarsie che ornavano il sepolcro di San Giulio, probabilmente realizzate da un’officina milanese, e una transenna liturgica del VII secolo, con il motivo della croce gemmata, intorno alla quale si dispongono simmetricamente due pavoni, simbolo di eternità.
La nuova chiesa
Con ogni probabilità la chiesa fu costruita negli anni di Litifredo, un vescovo molto intraprendente, che governò la diocesi tra il 1123 e il 1151. Dovette essere pensata come una «riduzione» della cattedrale di Santa Maria di Novara (demolita nel XIX secolo). Le trasformazioni barocche non impediscono di cogliere l’assetto medievale di San Giulio: tre navate, un transetto sporgente, un tiburio ottagonale in corrispondenza dell’incrocio e matronei sopra le navate minori, ai quali si poteva accedere tramite le scale poste nelle caratteristiche torrette, disposte agli spigoli della facciata. Le parti a vista mostrano una muratura di grandi conci ben squadrati, di colore grigio-azzurro, con rari inclusi di mattone, come spesso si usava nel medio e nell’alto Novarese nel XII secolo. Le tre navate sono coperte da volte a crociera, ma questo dev’essere il risultato di una variante in corso d’opera: è possibile che in origine fosse stato previsto un impianto con copertura a tetto, frazionata da arcate trasversali.
Le opere d’arte
Per la nuova chiesa un’ignota bottega di grandi scultori realizzò uno splendido pulpito, situato all’estremità sinistra della scalinata che porta al presbiterio. Il marmo, un serpentino verde scuro, fu estratto dalle vicine cave di Oira. Troviamo i simboli dei quattro Evangelisti (leone di san Marco, toro di san Luca, aquila di san Giovanni, angelo di san Matteo), associati a vari soggetti di repertorio (elementi vegetali) e narrativi, come il centauro che scocca la sua freccia per colpire il cervo. La lavorazione netta e la forte plasticità delle forme hanno suggerito un accostamento all’arte del metallo.
Il pulpito mostra un incrocio di culture artistiche diverse: se i capitelli classicheggianti che sorreggono la piattaforma possono ricordare quelli del duomo di Casale Monferrato, i soggetti degli scomparti mostrano un’ispirazione tedesca, che va cercata soprattutto nei capitelli delle cattedrali di Spira e di Magonza. Va ricordato il ricco patrimonio figurativo dal XIV al XVIII secolo. Basti qui ricordare gli affreschi del cosiddetto «Maestro del 1486», nella terza campata della navata minore sud, e i riquadri affrescati, di carattere votivo, ancora visibili soprattutto nelle navate minori.
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