La Certosa di Pesio sorse nel periodo di massimo splendore del monachesimo medievale e continuò a essere un complesso fiorente per secoli: «una delle più magnifiche che siano in Piemonte […] appare un buon castello in cima a questa valle situato».
Di Gian Vittorio Avondo e Claudio Rolando.
La Certosa di Pesio venne fondata nel 1173 dal priore Ulderico, originario di Casale Monferrato e già confratello della certosa madre di Grenoble, che ricevette in dono la parte alta della valle del Pesio dalla popolazione di Chiusa e dai signori di Morozzo.
La donazione venne fatta, come si legge nel documento, allo scopo di edificare un chiostro e una chiesa «in honorem Dei Sanctaeque Virginis Mariae et Sancti Joannis Baptistae» («per onorare Dio e la Santa Vergine Maria e San Giovanni Battista»). In realtà la realizzazione della certosa, oltre a soddisfare l’esigenza di guida spirituale, aveva anche altri scopi.
Si era al termine della lunga e dura dominazione saracena e ciò corrispondeva al rifiorire di fede e pietà religiosa, che in quel momento vedeva negli istituti monastici luoghi ideali in cui la popolazione, oltre al conforto spirituale, trovava anche rifugio e assistenza. Inoltre la presenza della vicina Certosa di Casotto, nella valle omonima, sorta poco prima (1172) con un numero di monaci superiore ai 12 consentiti dalla primitiva regola, indusse il priore di Casotto a promuovere un secondo insediamento poco lontano.
Questo insieme di fattori concomitanti favorì dunque la costruzione della certosa che, per sei secoli, concentrò in sé destino e vicende della valle.
I primi anni della Certosa di Pesio, tra conversi e donati
All’inizio i monaci si stabilirono sulla riva sinistra del Pesio, dove costruirono una correria, ovvero un complesso destinato ai membri laici del monastero, e solo qualche anno dopo, sulla sponda destra, sorse la chiesa dedicata alla Vergine Maria e a San Giovanni Battista, primo nucleo della certosa.
La correria è un edificio a un’unica aula con abside semicircolare, la cui parte bassa mantiene la muratura originale, con pietre a taglio netto e giunti stretti. Sopra a questo primo impianto si nota una successiva sopraelevazione, con muri realizzati con malta, ciottoli e mattoni. Per assicurare il sostentamento della comunità, le terre a disposizione dei monaci vennero fin da subito suddivise in piccole aziende agricole dette grange.
Il sistema era molto efficiente e all’inizio i poderi vennero gestiti da conversi e donati. Conversi erano chiamati i due laici che, con quattro chierici, furono i primi compagni di san Bruno, fondatore dell’ordine. Tutti cercavano l’unione con Dio nella solitudine, ma secondo modalità diverse. Salvaguardando l’isolamento dei padri certosini, i conversi, che vivevano all’interno del «deserto », riuscivano così a proteggere anche la loro stessa solitudine.
Con l’andar del tempo ai conversi si aggiunse un altro gruppo, quello dei donati. All’inizio erano semplici operai aggregati al monastero e tenuti soltanto ad alcuni momenti di preghiera. In seguito però vestirono l’abito monacale, conducendo una vita simile a quella dei conversi, senza tuttavia vincolarsi con voti, ma «donandosi» al monastero con la promessa di servire Dio con tutto il cuore.
La Certosa di Pesio e gli abitanti della valle
All’inizio i valligiani appoggiarono l’insediamento della comunità religiosa, ma dopo qualche decennio i rapporti cominciarono a deteriorarsi e sfociarono in contrasti sempre più aspri.
Come al solito, i motivi furono di natura economica, perché i chiusaschi si videro progressivamente privati di terre che avevano sfruttato da sempre per il taglio della legna, il pascolo, la pesca e la raccolta dei prodotti del sottobosco. Privilegi che, in periodi di un’economia di pura sussistenza, potevano fomentare l’invidia, la bramosia, l’odio.
Con il tempo le scaramucce si moltiplicarono, fino a trasformarsi in disordini che, nei casi più gravi, sfociarono in veri assalti alla certosa, con distruzioni e saccheggi. Violenze che indussero i padri ad abbandonare il complesso nel 1350 e a restarne lontano per più di cinquant’anni, fino all’inizio del XV secolo.
Tensioni e scontri
Al loro ritorno i rapporti non migliorarono e continuarono a deteriorarsi finché, nel 1509, si verificarono nuovi disordini scatenati dalla disputa sui possedimenti dell’odierna località San Bartolomeo, al confine tra le proprietà certosine e quelle comunali di Chiusa Pesio. Gli scontri furono così violenti da costringere il duca di Savoia a inviare soldati e commissari per sedare la rivolta. Questi riportarono la calma (con numerose condanne a carico dei paesani) e restituirono al monaci il maltolto.
Da quel momento, però, pur rimanendo tesi, i rapporti tra certosini e valligiani non arrivarono più allo scontro fisico, salvo un episodio accaduto nel 1655. In quell’anno un gruppo di bravacci della Chiusa – la cosiddetta «banda del Carnevale» – sfogò il proprio odio contro i monaci assaltando la certosa e portando scompiglio tra le mura del convento.
Tuttavia si trattò di un episodio isolato e non del culmine di una nuova fase di scontri fisici. Nonostante i rapporti tesi, la certosa era un complesso fiorente, che nel 1635 monsignor Della Chiesa descriveva come «una delle più magnifiche che siano in Piemonte […] e se la fabbrica del Monasterio e di sua Chiesa consideriamo, è tale che essendo tutta cinta d’alte mura, vedendosi da lontano, appare un buon castello in cima a questa valle situato».
Da Napoleone a oggi
Ciò che non poterono i chiusaschi riuscì invece a Napoleone Bonaparte che, decretando l’abolizione degli ordini monastici e la confisca dei beni, costrinse i monaci ad abbandonare la certosa (3 marzo 1803).
Da quel momento il complesso subì un veloce degrado dovuto a furti, danneggiamenti e all’asportazione degli arredi, che vennero dispersi un po’ ovunque, come accadde per le campane d’argento oggi al Louvre di Parigi.
Dal 1840 a fine secolo la certosa conobbe una breve rinascita. Acquistata dal cavaliere Giovanni Avena, fu trasformata in complesso idroterapico, frequentato tra gli altri anche da Camillo Benso, conte di Cavour, Massimo d’Azeglio e Maria Clotilde di Savoia. Tuttavia, durante la Belle Époque lo stabilimento non resse alla concorrenza dei nuovi e più mondani centri sparsi in tutta Italia e fu abbandonato.
Infine, dal 1934, i Padri Missionari della Consolata di Torino ne presero possesso, dando vita a un centro spirituale ancor oggi assai frequentato.
Tra i numerosi personaggi storici legati alla certosa, oltre allo stesso fondatore, padre Ulderico, va citato il beato Ambrogio de Feis, morto alla certosa il 30 giugno 1540; un cenno a parte merita padre Antonio Le Cocq, nato ad Avigliana nel 1390 e ricordato per il libro delle profezie che scrisse. Un’opera importante per l’epoca, tanto che nel 1494, ben 36 anni dopo la morte del frate, l’imperatore Carlo VIII venne a consultarlo per conoscere i propri destini.
Le attività della Certosa
Nonostante le mille difficoltà incontrate, i certosini svolsero comunque un ruolo fondamentale per la vita dell’alta valle, e non solo nell’ambito spirituale e culturale.
Essi infatti contribuirono allo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia, organizzarono la rete viaria, a partire dall’attuale carrozzabile da San Bartolomeo; furono inoltre gli artefici della nascita di nuovi borghi e comunità quali Pradeboni, Vigna e San Bartolomeo della Certosa.
Determinante, infine, fu la loro opera di salvaguardia dell’importante patrimonio boschivo, oggi parte del Parco Naturale dell’Alta Valle Pesio e Tanaro, una delle aree gestite dall’Ente Parco del Marguareis.
Una visita alla Certosa di Pesio
La certosa di Santa Maria, sepolta nel verde delle foreste di faggi e castagni che la circondano, nel suo isolamento montano regala al visitatore quella sensazione di solitudine che eleva lo spirito fino al contatto con il sacro che i frati certosini ricercarono in quei luoghi.
Il complesso, che compare quasi improvviso sulla destra orografica del Pesio, è ricco di elementi artistici e architettonici nonostante le spoliazioni subite nel corso dei secoli.
In primo luogo la facciata, con il monumentale portale settecentesco e il porticato in stile barocco che lo sovrasta. Il complesso si compone poi di numerose costruzioni articolate intorno al Grande Chiostro, di origine cinquecentesca e più volte rimaneggiato nel secoli successivi fino all’Ottocento.
Aperto su un lato verso la montagna, lungo i 250 metri di porticato sorretto da colonnine in stile romanico si aprivano le celle dei monaci composte da un’umile stanza, una piccola cantina e un orticello con il pozzo.
Dal Grande Chiostro si accede alla cappella del Priore, un piccolo locale con affreschi settecenteschi. Oltre al Piccolo Chiostro, primitiva costruzione della certosa, si segnala poi la chiesa superiore, costruita a fine Cinquecento su un preesistente edificio del 1175, che era un vero gioiello ricco di scanni intagliati, stucchi e pitture, molti dei quali andati perduti o trafugati.
E ancora lo scalone d’ingresso, opera dell’architetto della corte di Savoia Giovenale Boetto, oltre ai numerosi pregevoli affreschi che si trovano in diversi punti del complesso, alcuni dei quali sono opera di pittori famosi come Antonio Parentano e del fiammingo Jean Claret.
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