Tellaro è il paese di pescatori amato da Mario Soldati, un borgo capace, nonostante le dimensioni ridotte e l’invasione estiva di turisti, di mantenere la propria identità.
di Andrea Carpi.
La storia di Tellaro è collegata a quella di Barbazzano, antico borgo di cui si trova menzione nel diploma di Ottone II del 981. La posizione è strategica, al crocevia delle strade conosciute allora: da lì passava l’antica via che metteva in comunicazione il litorale con la vallata del Magra e con il castrum di Ameglia, sede del vescovo-conte; da lì si scendeva a Fiascherino, dove i barbazzanesi costruivano navi per commerciare, e con tutta probabilità anche per predare e combattere. Tale era la fama della marineria di Barbazzano che i suoi marinai avevano l’onore di accompagnare il vescovo di Luni nei suoi viaggi per mare.
Storia
È probabile che Tellaro, già indicato come territorio sottoposto al controllo di Barbazzano, debba il suo sviluppo alla grande epidemia di peste che nel 1348 colpì la città, inducendo i sopravvissuti a rifugiarsi nel nuovo borgo. Tellaro iniziò così a crescere, pur rimanendo nei secoli un piccolo borgo di pescatori. Barbazzano, invece, fu abbandonato nel giro di qualche decennio. L’ipotesi più accreditata è che gli abitanti scelsero di andare a vivere nei paesi limitrofi , divenuti nel tempo più importanti e forti dal punto di vista economico, mentre secondo la tradizione popolare la fi ne del borgo fu sancita da un attacco dei Saraceni, avvenuto la notte di Natale del 1400. A proposito di leggende, anche Tellaro ha la sua: si dice che una notte, approfi ttando di un insolito nebbione, i pirati guidati da Galla d’Arenzano fossero arrivati sulla costa pronti a saccheggiare il borgo. Ma, appena sbarcarono, un grosso polpo uscito dall’acqua si avvinghiò alla corda delle campane cittadine e le fece suonare destando gli abitanti, che poterono così respingere gli invasori. Secondo un’altra versione, fu un tale Marco Arzellino a suonare la campana: per paura di addormentarsi mentre era di guardia aveva legato la fune alla gamba, e in quel caso il sonno giunse al momento giusto. Tra il Settecento e l’Ottocento tutto il golfo di Lerici visse il suo momento d’oro grazie alla presenza di una nobiltà armatoriale che punteggiò i paesi e le colline di ville e palazzi splendidi. Anche Tellaro attraversò un periodo florido, ma a renderlo celebre fu Mario Soldati, che negli anni Sessanta scelse di andare a vivere nel piccolo borgo di pescatori.
Visita
La struttura del borgo si basa sulle originali fortificazioni, con le case circondate dalle mura sul lato nordoccidentale. Il paese è molto piccolo: una cascata di case colorate, raccolte intorno alla parrocchiale e alla minuscola spiaggia-approdo, scandite da poche e ripide viuzze e appollaiate sugli scogli. È il regno delle tinte pastello, dei gabbiani e del salmastro: «Girate per questi carruggi che sbucano in mare e poi sedetevi in un angolo tra i sassi della riva», diceva Soldati. I rigidissimi divieti alle auto impongono di posteggiare a qualche minuto dal centro, ma questo permette almeno di godersi una breve passeggiata. All’ingresso del paese si trova la moderna chiesa della Stella Maris: vale la pena di entrare per dare un’occhiata alla Madonna col Bambino, tavola del XIV secolo portata a Tellaro da Barbazzano, e per ammirare la splendida vista sul golfo che si apre dal sagrato. Superata la piazza affollata di locali e negozi di souvenir, si arriva nel vero e proprio borgo, passando vicino a una torre pisana di avvistamento. Qui i vicoli si fanno stretti e angusti: imboccando via Pace si sale al piccolo e grazioso oratorio di Santa Maria in Selà. Nato come fortificazione, nel 1660 diviene sede della compagnia dei Battuti di Santa Maria. L’oratorio si trova su una piccola piazzetta che garantisce panorami eccezionali sul golfo e verso levante. Dalla piazzetta si scende verso il monumento più significativo di tutto il borgo, la chiesa di San Giorgio, con il suo color rosa e il campanile ricavato da una delle due torri pisane. La chiesa, che venne edificata nel XVI secolo su uno sperone roccioso, direttamente sul mare, contiene una mirabile pala d’altare in marmo, coeva all’edificazione. Un’iscrizione ricorda la leggenda del polpo salvatore: «Saraceni mare nostrum infestantes sunt noctu profligati quod polipus aer cirris suis sacrum pulsabat». Oltre le rocce si trovano i cosiddetti «spiaggioni», baie sabbiose ancora incontaminate e che in estate si riempiono di bagnanti. Dalla chiesa in pochi passi si arriva alla spiaggia: fuori stagione, senza il trambusto estivo, le barche lasciate in secca, i pescatori sugli scogli e il continuo andirivieni di gatti permettono di apprezzare lo spirito ancora genuino di questo posto.
Le rovine di Barbazzano
Oggi il luogo si presenta selvaggio e abbandonato: terreno incolto, muri diroccati, la vegetazione che ha ricoperto le pietre. Ma la passeggiata, pure impegnativa, merita per gli scorci che offre sulla costa e per i resti del borgo antico, abbandonato ormai da molti secoli, ma ancora suggestivo. La testimonianza più rilevante ed evidente è la torre: appoggiata alla collina, visibile da lontano, svetta in mezzo agli olivi. Vi si trova una porta, con la pietra forata che faceva da cardine. Non lontano, poco sotto la sommità della collina, si trova la chiesa (a lungo usata come stalla), edificata forse su un precedente edificio di epoca romana. Dedicata a San Giorgio (a cui verrà poi intitolata la chiesa di Tellaro), secondo la documentazione si presentava con tre altari e fonte battesimale in marmo bianco. La mancanza di tracce del campanile fa supporre l’esistenza di una struttura in legno. Intorno i resti delle abitazioni, un grande senso di pace e tante leggende che aleggiano sull’antico borgo di Barbazzano. Come quella del grifone: cinto d’assedio da soldataglie guidate da un guerriero ritenuto invincibile, il paese fu miracolosamente soccorso da un grifo, che s’avventò sul condottiero e cominciò a beccargli un occhio. Presi dal panico, gli assalitori si ritirarono e la rocca fu salva. La storia si diffuse presto in tutta l’area e, secondo la tradizione, in una delle porte venne murato un grifo scolpito nell’arenaria, in segno di riconoscenza per l’aiuto portato.
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