I tramezzi affrescati ci riportano direttamente a un mondo perduto, quello antecedente al concilio di Trento. Una storia di arte e fede, un viaggio alla ricerca di questi grandi capolavori nel Nord-ovest d’Italia.
Di Simone Caldano e Serena D’Italia.
I tramezzi affrescati si ritrovano nelle chiese monastiche erette prima del concilio di Trento, indetto da papa Paolo III e svoltosi tra il 1545 e il 1563, in genere caratterizzate da una netta divisione tra la zona riservata ai religiosi e quella aperta ai fedeli. Questa separazione era affidata a strutture in muratura, in genere chiamate tramezzi o jubé, che il concilio decise di far abbattere per privilegiare un ambiente aperto, con l’altare come fulcro dello spazio liturgico.
Tuttavia, in alcune chiese dell’area alpina questa modifica non fu attuata, in particolare in quelle fondate dai Francescani osservanti nel corso del Quattrocento. In questi edifici, a differenza di quanto accadeva per esempio nell’Italia centrale, il tramezzo giunge fino al soffitto e ha quindi una funzione strutturale. Il mancato adeguamento può anche in parte essere imputato al fatto che si tratta di chiese collocate in aree abbastanza periferiche.
Bernardino da Siena
Nel 1418 il francescano Bernardino da Siena giunse a Milano, conquistando con la sua opera di predicazione il favore del duca Filippo Maria Visconti e di numerosi altri membri della nobiltà cittadina. Poco tempo dopo, nel 1421, sorsero le prime due fondazioni dei Minori osservanti in Lombardia, Sant’Angelo a Milano e San Giacomo a Pavia. Si trattava di piccoli edifici posti poco al di fuori delle mura cittadine, che consentivano ai religiosi di avere un luogo tranquillo per pregare, ma anche di raggiungere con facilità il centro urbano.
Queste chiese sono state entrambe distrutte, la prima nel Cinquecento e la seconda nell’Ottocento, ma si è ipotizzato che fossero molto semplici e costituite da due vani quadrati coperti da volte a crociera, separati da un tramezzo a tre arcate, con le due laterali che fungevano da cappelle: una struttura, detta «modulo bernardiniano», che caratterizza molte delle chiese dell’osservanza giunte fino a noi tra Piemonte, Lombardia e Svizzera, come San Bernardino a Ivrea, Santa Maria delle Grazie a Varallo, Santa Maria delle Grazie a Bellinzona e San Bernardino a Caravaggio.
Poiché l’altare si trovava nella zona riservata ai monaci, è probabile che i fedeli non frequentassero questa tipologia di chiese per partecipare alla messa, ma piuttosto per pregare e ascoltare i sermoni dei frati. Si spiega così la funzione degli affreschi dei tramezzi affrescati francescani, utilizzati per illustrare ai fedeli gli episodi della vita e della passione di Cristo. Osservando gli esempi rimasti, si può notare che la decorazione seguiva un’impostazione prestabilita, con venti riquadri delle stesse dimensioni cui se ne aggiungeva uno più grande per ospitare la Crocefissione, posta al centro sopra l’ingresso che conduceva alla chiesa dei monaci.

Novara, il tramezzo affrescato dell’abbazia di San Nazzaro della Costa
Il prototipo e le serie
Anche in questo caso il prototipo perduto va individuato in una delle due chiese più antiche dell’ordine, Sant’Angelo a Milano e San Giacomo a Pavia. Le nostre informazioni su Sant’Angelo e sui suoi affreschi purtroppo sono molto scarse, ma sappiamo che nel 1515 un francese che si trovava a Milano al seguito di Francesco I descrisse le pitture sopra alla porta del coro come l’opera più perfetta e singolare che si potesse vedere in città, dunque superiore addirittura all’Ultima cena di Leonardo da Vinci. Non sappiamo chi fosse l’autore di questo straordinario ciclo decorativo, ma è probabile che si trattasse di Vincenzo Foppa, pittore all’epoca molto rinomato che lavorò spesso per l’Ordine Francescano.
Più documentata è la storia di San Giacomo; in particolare, sappiamo che gli affreschi del tramezzo furono commissionati nel 1475 dalla nobildonna Zaccarina Lonati a un’équipe di pittori lombardi formata da Foppa e da Bonifacio Bembo, Costantino da Vaprio, Giacomo Vismara e Zanetto Bugatto, artisti che in quel momento lavoravano nel castello di Pavia. La parete affrescata fu terminata entro il dicembre del 1476 e la scena principale – quella della Crocefissione – fu realizzata proprio da Foppa.
Nei documenti non si fa cenno alla presenza di un frontone triangolare in alto, come quello decorato a Varallo da Gaudenzio con la figura del profeta Isaia, quindi è probabile che il tetto di San Giacomo non fosse a vista, ma mascherato da un soffitto a cassettoni come quello tuttora visibile a Ivrea. Questo tipo di decorazione si diffuse in fretta nelle chiese dei Minori osservanti del Nordovest, anche grazie all’aiuto dei codici miniati, che facilitarono la diffusione dei modelli iconografici delle scene della vita e della passione di Cristo.
I tramezzi affrescati in Piemonte
Come si accennava, in Piemonte si sono conservati due straordinari esemplari di tramezzi affrescati, opera dei più importanti artisti rinascimentali attivi sul territorio: quello di San Bernardino a Ivrea, dipinto da Giovanni Martino Spanzotti, e quello di Santa Maria delle Grazie a Varallo, opera di Gaudenzio Ferrari. A questi possiamo aggiungere il tramezzo di San Nazzaro della Costa a Novara, che nel Settecento fu svuotato al centro e trasformato in una sorta di arcone trionfale a tutto sesto collocato tra navata e presbiterio.
Ciò che rimaneva degli affreschi venne coperto, fino a che un restauro avviato nel 2003 non ha riportato alla luce le scene superstiti. La decorazione, probabilmente eseguita negli anni Settanta del Quattrocento, è opera di un maestro lombardo ancora legato alla cultura tardogotica, che rivela solo qualche timida apertura in direzione rinascimentale, forse identificabile in Cristoforo Moretti.
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