Immerso nel verde della pianura che circonda il fiume Ticino in territorio pavese, Vigevano rappresenta il prototipo della «città ideale» del Rinascimento.
Di Elena Percivaldi.
A Vigevano, ancora oggi, tutto parla del suo artefice, il duca di Milano Ludovico il Moro, che elesse il luogo a simbolo del suo potere e della sua gloria, radunando intorno a sé artisti come Leonardo e Bramante, che lo arricchirono con i loro capolavori. Il castello, monumentale e dotato di tutti i comfort della «dimora di charme», rappresenta con la sottostante Piazza Ducale, cui è unito in un formidabile e vastissimo complesso architettonico, il cuore pulsante e l’anima del borgo.
Nato sotto il segno del biscione
La posa della prima pietra del castello si fa tradizionalmente risalire all’anno 1341, quando Luchino Visconti, già podestà di Vigevano, elevò la cittadina, da tempo residenza della famiglia e caratterizzata da una fortificazione molto semplice, al rango di cruciale avamposto di difesa lungo la linea del Ticino dal confinante marchesato di Monferrato. Luchino ripensò completamente la struttura già esistente, che si trovava in posizione rialzata rispetto all’abitato, e la trasformò in un ampio maschio a pianta quadrangolare composto da tre edifici delimitati da torri angolari, aggiungendovi una torre d’ingresso. Questo complesso, destinato a diventare il cuore della cittadella fortificata, divenne la sua residenza, mentre a scopo esclusivamente difensivo fu costruita la «rocca vecchia» eretta ai margini orientali del borgo, in seguito collegata al corpo centrale da un passaggio fortificato sopraelevato, la «Strada coperta». Purtroppo, Luchino non riuscì a godersi molto a lungo la sua «creatura». Nel 1349, infatti, morì in circostanze misteriose, e girò voce che fosse stato avvelenato dalla bellissima e lussuriosa moglie Isabella Fieschi, non a caso soprannominata Fosca: la donna avrebbe preferito sbarazzarsi del consorte, geloso dei suoi numerosi e illustri amanti, giocando d’anticipo sull’inevitabile punizione che le sarebbe spettata dopo che lui l’aveva sorpresa al ritorno dall’ennesima notte brava.
Il castello di Ludovico
L’apogeo del castello di Vigevano coincise con il successivo dominio degli Sforza grazie a Galeazzo Maria e, soprattutto, a Ludovico il Moro, duca di Milano dal 1494 (ma già da tempo di fatto padrone del potere in quanto tutore del nipotino Gian Galeazzo Maria) fino al 1499, quando fu destituito dai francesi. Nella breve stagione in cui resse le sorti del ducato, Ludovico ampliò il complesso aggiungendo, attorno al maschio, una serie di nuovi edifici concepiti appositamente per ingentilirne l’aspetto. Inoltre, lo dotò di tutti i comfort necessari alla corte, a cominciare dalle enormi scuderie in grado di contenere un migliaio di cavalli. A seguito dello sfarzoso matrimonio con Beatrice d’Este, celebrato nel 1491 nella cappella ducale del castello di Pavia, e alla nascita del piccolo Massimiliano, Ludovico ordinò la costruzione di una nuova ala interamente riservata alla moglie e alle sue cortigiane: del complesso resta la «Loggia delle Dame», che fu abbellita con uno spettacolare giardino pensile progettato sul modello dei giardini di delizie antichi, per alimentare il quale fu approntato un apposito sistema di irrigazione. Per realizzare il suo sogno di grandeur, e fare bella figura con i suoi illustri ospiti (dimorarono al castello il re di Francia Carlo VIII e l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo) Ludovico non esitò a richiedere la collaborazione di alcuni fra i più grandi artisti e architetti del tempo, alcuni dei quali egli aveva già impiegato sia a Milano sia a Pavia. Tra essi svettano Leonardo e Donato Bramante, quest’ultimo già artefice per gli Sforza della canonica della basilica milanese di Sant’Ambrogio con i due attigui chiostri, nonché della celebre tribuna di Santa Maria delle Grazie. A Vigevano Bramante progettò alcuni edifici porticati nel castello e realizzò la decorazione pittorica di quelli che davano sul cortile (oggi, purtroppo, ne rimangono solo alcuni lacerti). A lui è anche impropriamente attribuita l’intera risistemazione della torre, che appunto viene detta «bramantesca»; all’urbinate si deve forse soltanto il sopralzo, essendo il progetto complessivo opera probabilmente (così come il rivellino del castello) del toscano Benedetto Ferrini. Con la sua impressionante mole, la Torre Bramantesca svetta per 75 metri sulla sottostante Piazza Ducale, cui è collegata da uno scalone. Voluta da Ludovico il Moro nel 1492, doveva al pari dell’antico Foro romano costituire il cuore pulsante della città ma anche il luogo di rappresentanza e ostentazione del potere ducale, unendo idealmente in un solo grandioso insieme il polo politico (costituito dal castello), quello economico (la piazza vera e propria) e quello religioso dello Stato.
Il declino
La caduta di Ludovico il Moro segnò anche la fine della centralità di Vigevano come centro propulsivo del Ducato. Chiusa per sempre l’epoca sforzesca, nel 1535 il castello passò agli spagnoli e iniziò un lento declino, al punto che già nel 1696 i rappresentanti delle potenze che vi giunsero per firmare il trattato di Vigevano (che metteva fine, almeno in Italia, alla Guerra della Grande Alleanza) lo trovarono inagibile. Persasi memoria degli antichi fasti, intorno alla metà dell’Ottocento gli edifici furono addirittura utilizzati come caserma, secondo una scellerata prassi – quella di acquartierare le truppe in edifici dismessi, non importa se di pregio – inaugurata in età napoleonica e che sarebbe durata, nel caso di Vigevano, fino alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Un lungo e impegnativo restauro, che continua tuttora, ha consentito il recupero di gran parte del complesso e la sua restituzione alla fruizione e alla visita. Oggi ospita musei, eventi, mostre e manifestazioni ed è tornato a pieno titolo a essere insieme alla piazza, come nei desideri del Moro, il simbolo vivo e vitale della città.
La visita
Con i suoi 70 mila metri quadri di estensione, cui vanno aggiunti i 36 mila del cortile, il castello di Vigevano si presenta come uno dei complessi fortificati più grandi d’Europa: è stato calcolato infatti che potrebbe contenere due volte Buckingham Palace, tre volte la basilica di San Pietro e sei volte il duomo di Milano. Il percorso di visita inizia entrando nel cortile attraverso lo scalone che, dalla sottostante piazza Ducale (di cui si dirà fra poco) conduce alla Torre Bramantesca. Quest’ultima, alta 75 metri sulla piazza e 55 sul cortile, oggi svolge la funzione di torre civica ed è visitabile: la salita al terrazzo permette di abbracciare l’intero borgo, spingendo lo sguardo nel verde delle campagne della Lomellina. La peculiare concezione della torre, frutto dell’intervento nel tempo di più mani tra cui quelle del Bramante (la cupola attuale fu realizzata nel Seicento), ne ha decretato un ampio successo al punto che Luigi Beltrami, il grande architetto incaricato nell’Ottocento di restaurare il castello Sforzesco di Milano, si ispirò all’edificio vigevanese per «ricostruire» la torre del Filarete. Gli edifici sono visitabili e uniscono alla suggestione degli spazi antichi soluzioni decisamente moderne, come il Museo della Calzatura. Aperto nel 2003 nel piano superiore della prima scuderia e ricco di rari esemplari, deve la sua ragion d’essere alla prestigiosa arte calzaturiera locale, attestata a Vigevano fin dal Trecento e proseguita, tra Otto e Novecento, con una serie di invidiabili primati: la creazione, nel 1866, del primo calzaturificio industriale (fratelli Bocca); l’apertura nel 1901 della prima fabbrica italiana di macchine per calzature (Antonio Ferrari); infine nel 1929 la prima produzione in Italia di scarpe da tennis in gomma. La prima scuderia è sede anche della Pinacoteca, dove si possono ammirare capolavori artistici realizzati tra il XV e il XX secolo (ampia in particolare la sezione moderna).
Il corpo centrale del maschio, sede di Leonardiana, museo dedicato alle opere del genio da Vinci, è collegato con la Rocca Vecchia (la Cavallerizza), dall’impressionante Strada Coperta: lunga ben 163 metri e larga 7, è come una sopraelevata fortificata che attraversa la cittadella. La terza scuderia ospita il Museo Archeologico Nazionale della Lomellina, inaugurato nel 1998 e ampliato nel 2006, che raccoglie ed espone buona parte dei ritrovamenti archeologici avvenuti sul territorio. Al 1360 risale invece l’edificio loggiato che un tempo costituiva la Falconiera: qui erano allevati e addestrati i falchi e gli altri uccelli da preda utilizzati per la caccia, sport e svago amatissimo dalla nobiltà del Medioevo e del Rinascimento. Terminata la visita al complesso del castello, si scende di nuovo nella piazza Ducale per ammirarne l’insieme armonico e monumentale, un tempo «biglietto da visita» che testimoniava il benessere e la potenza raggiunta dal ducato, e oggi animatissimo salotto della città. Lunga 134 metri e larga 48, è porticata su tre lati mentre l’ultimo è chiuso dalla cattedrale intitolata a sant’Ambrogio, patrono di Milano. Modificata varie volte nel corso del tempo, deve il suo aspetto attuale e definitivo all’intervento voluto nel 1680 dal vescovo Juan Caramuel y Lobkowitz allo scopo di inserire in modo armonico la facciata della chiesa, curvata così da abbracciare idealmente la stessa piazza. Nell’antica Sagrestia è visitabile il Museo del Tesoro del Duomo che comprende codici miniati, reliquiari e preziosi vestimenti sacri. L’impressione che la piazza Ducale, con la sua grandiosità, destò sui contemporanei fu grandissima, tant’è che a suo modello furono realizzate altre piazze di rappresentanza in tutta Europa, dalla Francia (place des Vosges a Parigi) alla Spagna (plaza Mayor a Madrid), fino alla Germania e ai Paesi Bassi. Un’ammirazione che pervade il visitatore ancora oggi.
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