La cattedrale di Santa Maria a Novara fu un gioiello artistico capace di preservarsi nei secoli fino all’intervento di Alessandro Antonelli, che la rase al suolo per costruire una nuova chiesa.
Di Simome Caldano.
La cattedrale di Santa Maria a Novara ha una data di fine, il 1861, anno in cui Cesare Magnani Ricotti, sindaco di Novara, ricevette da Torino – allora capitale del regno d’Italia – una lettera dal tenore insolito. Bettino Ricasoli, ministro dell’Interno, era allarmato: gli era giunta notizia dell’avvio della demolizione della cattedrale della città gaudenziana e chiedeva conto dei fatti. Il sindaco diede al ministro una risposta piccata, anzi, stizzita: nessuno, men che meno Ricasoli, poteva arrogarsi il diritto di mettere in discussione il prestigio di Alessandro Antonelli, cioè l’architetto che aveva progettato la nuova cattedrale, ovvero quella destinata a sostituire l’edificio che si stava distruggendo.
Il ministro non insistette. I lavori si prolungarono fino al 1865 e La cattedrale di Santa Maria a Novara andò perduta per sempre. Antonelli riuscì nell’impresa che non era andata a buon fine a Casale Monferrato qualche anno prima: aveva convinto i canonici della necessità di radere al suolo la chiesa maggiore della città per sostituirla con una nuova, caratterizzata da un impianto al passo con i tempi.
La diocesi di Novara
La diocesi di Novara ha origini antiche. Secondo la tradizione il primo vescovo fu san Gaudenzio, attivo negli anni di passaggio tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, tuttavia alcuni studiosi dubitano della sua esistenza: solo nel IX secolo, cioè in epoca carolingia, fu redatto il più antico dei codici che riportano il racconto agiografico della sua Vita. In ogni caso, gli specialisti sono concordi sulla datazione del battistero – ancora ben conservato – alla prima metà del V secolo. Si tratta di un edificio a pianta centrale, debitore dell’impianto architettonico del battistero di San Giovanni alle Fonti a Milano: al vano ottagonale si coordinano nicchie quadrangolari sulle ortogonali e semicircolari sulle diagonali. Le giunzioni tra le nicchie sono marcate da colonne corinzie.
Poco dopo il 1000, per iniziativa del vescovo Pietro III, il tiburio fu sopraelevato e decorato con un ciclo di preziosi affreschi, incentrati sul tema dell’Apocalisse. Un quadriportico collegava il battistero alla cattedrale paleocristiana, della quale non sappiamo quasi nulla, se non che aveva un impianto a cinque navate. Ebbene, sappiamo che nel 1074 il tetto della chiesa maggiore di Novara fu oggetto di una manutenzione. Solo qualche decennio dopo, però, si crearono le condizioni favorevoli alla ricostruzione.
Il vescovo Litifredo
Il «regista» di questa operazione fu il vescovo Litifredo, che resse la cattedrale di Santa Maria a Novara dal 1123 al 1151: un uomo di grande cultura, che aveva una notevole disponibilità economica e seppe barcamenarsi con grande intelligenza tra le aderenze imperiali e la sintonia con gli indirizzi di Santa Romana Chiesa. Di più: egli si dedicò con grande impegno alla pastorale nel vasto territorio della diocesi.
Al momento della consacrazione della nuova cattedrale da parte di papa Innocenzo II (17 aprile 1132), i lavori dovevano essere a uno stadio avanzato. Senza dubbio l’intraprendente Litifredo era affascinato dall’orizzonte culturale mitteleuropeo. La cattedrale di Santa Maria a Novara, infatti, era suddivisa in tre navate, separate da sostegni distribuiti secondo la cosiddetta «alternanza sassone» (un pilastro e due colonne, come nelle grandi chiese di Hildesheim e nella cattedrale di Goslar), aveva un transetto sporgente, l’abside semicircolare era preceduta da una profonda campata di coro (come nelle fabbriche ottoniane di Colonia, Gernrode, Hersfeld e Limburg an der Haardt) e il corpo longitudinale intersecava un transetto di navata (come a Maastricht e a Rolduc, ma anche, senza andare così lontano, a Santa Maria del Popolo di Pavia e nel duomo di Casale Monferrato).
Non solo: le navate erano precedute da un atrio ampio e poco profondo, che si coordinava a due snelle torri che contenevano le scale a chiocciola per mezzo delle quali era possibile salire ai matronei che insistevano sulle navate laterali e sulla tribuna occidentale. Poco dopo il 1000, i «prototipi» di questa facciata con torri scalarie erano state le cattedrali di Strasburgo e di Basilea, ma, allontanandosi molto meno, dobbiamo richiamare i casi della cattedrale di Bobbio, del Santo Sepolcro di Milano e di San Giacomo di Como. Assai inusuale era il protiro interno, coordinato con la tribuna di controfacciata.
I tesori della cattedrale perduta
Insomma, la distrutta Santa Maria di Novara condensava stimoli provenienti da retroterra culturali molto diversi tra di essi, rielaborandoli con esiti di grande originalità. Due fatti devono essere ancora messi nella giusta luce. Un manoscritto trecentesco, che descrive lo svolgimento della liturgia in cattedrale nei vari momenti dell’anno, ci dice che molteplici altari si trovavano sui matronei e sulla galleria che, a ridosso della controfacciata, collegava i matronei stessi. Inoltre sono pervenuti fino a noi diversi inventari del tesoro della cattedrale: i due più antichi risalgono al 1175 e al 1212.
Tra i manufatti qui citati, senza dubbio il più prezioso e significativo è la raffinata coperta di evangeliario in argento dorato, databile ai decenni centrali del XII secolo e oggi conservata a Parigi, presso il Musée de Cluny. Un’opera che, insieme ai resti del mosaico pavimentale nel presbiterio, alle numerose sculture architettoniche erratiche e ai preziosi affreschi (fine XII secolo, con una Crocifissione d’inizio Trecento) dell’attiguo oratorio di San Siro, ci dà un’idea precisa della ricchezza e della raffinatezza di un edificio che già agli occhi dei contemporanei doveva risultare straordinario.
Oggi la testimonianza più significativa in relazione all’architettura medievale è il campanile di fine XI – inizio XII secolo, in origine situato in corrispondenza dello spigolo tra il coro e il braccio nord del transetto. Costruito in mattoni di reimpiego, in molti casi rotti, le sue superfici sono scandite da specchiature accoppiate nei primi quattro piani e singole nei due livelli successivi: le variazioni della modulazione parietale sono funzionali al progressivo ampliamento delle aperture dal basso verso l’alto, indispensabile in una struttura verticale. La cella campanaria barocca fu costruita nel 1625, per volontà del vescovo Giovanni Pietro Volpi.
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