La battaglia del San Matteo fu la più alta combattuta da reparti numerosi nella prima guerra mondiale e fu l’ennesima dimostrazione della capacità e dell’abilità di operare ad alta quota raggiunte dopo tre anni di guerra dalle truppe alpine di entrambe le parti.
Di Diego Vaschetto
Ben prima della battaglia del San Matteo, appena dopo le prime esperienze con gli sci all’inizio del Ventesimo secolo, la pratica sciistica s’impose rapidamente nel corpo degli Alpini e, allo scoppio della prima guerra mondiale, ogni battaglione aveva in organico un plotone sciatori con compiti essenzialmente esplorativi. Nell’inverno 1916-1917 vennero costituiti 12 battaglioni sciatori, ciascuno composto da due compagnie da 250 soldati ciascuna. Nel luglio 1917, viste le caratteristiche del fronte, che non permetteva l’utilizzo di grandi masse di sciatori, i battaglioni furono sciolti utilizzando le diverse compagnie per formare sette nuovi battaglioni ordinari: Cuneo, Courmayeur, Pallanza, Monte Tonale, Monte Pasubio, Monte Marmolada e Monte Nero. Vennero mantenuti solo i due battaglioni sciatori che operavano sui ghiacciai dell’Ortles e dell’Adamello, dove le vaste e pianeggianti distese innevate permettevano l’impiego di tali reparti, che diedero prova di eccezionali capacità alpinistiche e di grande ardimento.
Le tute bianche
Nel febbraio 1918, il 1° battaglione sciatori, costituito l’anno prima con soldati del 5° Alpini, prese la denominazione di «Monte Ortler» e iniziò a operare, con le sue tre compagnie al comando del maggiore Ettore Caffaratti, nel tratto di fronte tra la valle dello Zebrù e il passo del Gavia. Il 1° battaglione sciatori e il 2° (poi «Corno di Cavento») furono i soli a rimanere in linea fino alla fine della guerra, a causa della necessità di utilizzare su queste montagne, ricoperte dai ghiacci anche in estate, soldati abili con gli sci e addestrati a muoversi sui ghiacciai utilizzando l’attrezzatura alpinistica. Questi reparti furono anche i primi a sperimentare le tute mimetiche bianche, ideate dal geniale capitano medico Ugo Cerletti, arruolato nella Prima Centuria Volante in val Zebrù, tute mimetiche poi adottate anche dai reparti austriaci. Dopo il periodo invernale passato di presidio al Gavia e negli avamposti di prima linea, questi Alpini organizzarono le posizioni sulla cima San Giacomo e sul Dosegù, preparandosi alle operazioni sul San Matteo.
Punta San Matteo
La punta San Matteo è una delle grandi montagne del gruppo Ortles-Cevedale, una montagna imponente che si eleva dall’unione di tre creste che la collegano a nordovest con il Pizzo Tresero, a est con la punta Cadini e a sudest con il monte Mantello. La vetta è circondata da estesi ghiacciai come quello dei Forni a nord e del Dosegù a ovest. La conquista della montagna e della vicina cima del Mantello venne decisa per sottrarre al nemico un importante osservatorio sul vallone del Gavia e al contempo saggiare la capacità combattiva degli austriaci, sempre più a corto di cibo e munizioni. Gli austriaci avevano occupato fin dal luglio 1916 il monte San Matteo (3684 metri) e il vicino monte Mantello, con le retrostanti cime Giumella e Cadini, e avevano attrezzato queste cime con artiglierie con le quali battevano le postazioni italiane del Dosegù, della Pedranzini, del Tresero, di Vallombrina e del Gavia. Piccole bocche da fuoco erano posizionate in un’ampia caverna circa 150 sotto la vetta, mentre un quarto obice dipinto di bianco era stato piazzato sulla vetta del San Matteo, dov’era stato anche realizzato un osservatorio. Presso la cima della montagna venne anche scavata una galleria utilizzata come dormitorio dal presidio di trenta soldati e come deposito munizioni. Trincee scavate nella neve e nel ghiaccio difendevano la posizione dagli attacchi di fanteria e univano tra loro un ridottino in muratura affacciato sul ghiacciaio del Dosegù con altre due postazioni che fronteggiavano il monte Mantello. Le posizioni austriache del monte Mantello (3537 metri) e del monte San Matteo dominavano tra l’altro la valle del Noce e la Vallombrina, permettendo ampi punti d’osservazione sulle posizioni italiane.
L’incarico per la conquista del San Matteo e del Mantello venne affidato agli Alpini della 307a e 308a compagnia del monte Ortler, coadiuvate dalla 527a compagnia mitragliatrici (capitano Zino) del battaglione Mondovì, mentre alla 306a compagnia con un reparto mitraglieri fu affidato il compito di tenere le linee cha vanno dal Tresero alla Sforzellina. La sera del 12, la 308a venne suddivisa in cinque piccole colonne: quattro si appostarono sul rovescio della cima Dosegù, mentre la quinta, assieme a due plotoni della 527a mitragliatrici, si posizionò dietro quota 3452 metri lungo la Cresta di Villacorna. I resti della compagnia mitragliatrici e la 307a compagnia vennero tenute di rincalzo sul San Giacomo. Il mattino del 13, dopo un lungo bombardamento, si mossero per prime le colonne uno e quattro. La prima colonna, al comando del sergente Pietro Caimi, formata da 10 Guide Alpine della val Zebrù, si mantenne sotto cresta sul versante del ghiacciaio di Dosegù, puntando dritto verso la vetta del San Matteo, mentre la quarta, al comando del caporalmaggiore Venturini, con nove guide alpine, si abbassò in direzione del Mantello. A distanza di pochi metri seguirono verso gli stessi obiettivi sia la seconda colonna al comando del sottotenente Giovan Battista Compagnoni, con 30 Alpini, sia la terza colonna del tenente De Filippi, con 34 alpini. Allo stesso tempo, la quinta colonna del tenente Fausto Ceccon si avvicinava da sudovest al Mantello seguendo la cresta di Villacorna.
Nel centro della battaglia
Verso mezzogiorno tutte le colonne giunsero ai piedi dei rispettivi obiettivi, iniziando la scalata per raggiungerli coperte dal preciso fuoco dei piccoli e medi calibri che precedevano di qualche decina di metri. La terza colonna, raggiunta la Sattel (la sella tra il San Matteo e il Mantello), piegò a sudovest, prendendo la posizione nemica alle spalle e catturando l’intero presidio austriaco. Nel frattempo, le colonne uno e due (tenente Compagnoni), salirono in contemporanea le due creste del San Matteo, sia dalla Sattel sia dal crinale ghiacciato rivolto verso il Pizzo Tresero. Le sezioni della 527a compagnia mitragliatrici coprirono l’avanzata facendo fuoco sulla vetta. Nonostante la prima colonna fosse assai ostacolata dalle posizioni dominanti della vetta, la fitta nebbia che avvolgeva la montagna favorì l’assalto degli Alpini, che, salendo in contemporanea dallo spigolo meridionale e da quello occidentale, sorpresero i nemici, che si ritenevano al sicuro perché coperti dalla posizione del Mantello. Alle 12.10, con la resa del presidio di vetta, il San Matteo veniva conquistato, con la cattura di diverse decine di soldati austriaci e di molto materiale bellico.
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