Il forte Dosso delle Somme era la più moderna fortificazione austriaca della cintura fortificata a protezione degli altopiani veneto-trentini ed era considerata nel 1915 una delle cinque migliori fortificazioni di tutto l’impero austroungarico. La sua scenografi ca posizione su un poggio a completo dominio della sottostante val Terragnolo e il panorama a 360° sugli altopiani e sul dirimpettaio massiccio del Pasubio ne rendono la visita molto interessante dal punto di vista ambientale.
Di Diego Vaschetto.
Il forte Dosso delle Somme è raggiungibile attraverso un comodo e breve sentiero da passo Coe, mentre uno storico itinerario di quasi cinque chilometri, che sale da Serrada, percorre la grandiosa «trincea del Lupo», la linea di massima resistenza austriaca ricavata tutta nella roccia, che consentiva anche un collegamento protetto con il forte.
Un forte innovativo
La costruzione del forte venne iniziata nel 1911, dopo la realizzazione della strada di servizio lunga 7 chilometri che saliva dalla frazione di Serrada, e i lavori proseguirono fino al 12 settembre del 1914, quando la struttura divenne operativa dopo il completamento delle ultime opere accessorie esterne. Il suo compito era interdire ogni passaggio in val Terragnolo verso Rovereto, controllando al contempo il soprastante crinale del Pasubio, e di proteggere, con il vicino forte Sommo Alto, l’altopiano di Folgaria da eventuali attacchi provenienti dal passo Coe. Il forte, armato con quattro obici da 100 mm in cupola blindata (gittata massima di 7300 m) e difeso da ben 22 mitragliatrici in casamatta corazzata, era presidiato da 200 soldati dell’artiglieria da fortezza e da un distaccamento di 60 militari appartenenti al 3° Landesschützen tirolese. Tutto il complesso venne progettato con una struttura innovativa, suddivisa in due blocchi distanti tra loro una sessantina di metri e uniti da una galleria seminterrata ricoperta da un carapace in calcestruzzo e da uno spesso strato di terra. Il blocco esterno su tre piani era lungo oltre 100 metri e ospitava gli alloggi della guarnigione, i magazzini e tutti i servizi del forte, oltre alla centrale elettrica e alle cisterne per l’acqua e per il carburante. Sul tetto erano ospitate due cupole corazzate armate con obici M.9 da 100 mm, mentre alle due estremità del blocco erano state installate due casematte blindate armate ciascuna con due mitragliatrici Schwarzlose M7/12 per la difesa ravvicinata e affiancate entrambe da un riflettore da 25 cm. Il blocco centrale era costituito da un piano inferiore, occupato quasi tutto da un lungo corridoio di collegamento, e dal piano superiore, dove si trovavano gli accessi ad altre due cupole blindate per obici da 100 mm e alla massiccia torretta dell’osservatorio girevole (42 tonnellate di peso) posta al centro della struttura.
Una difesa impentrabile
All’estremità destra del blocco erano collocate due altre casematte, armate con mitragliatrici per la difesa ravvicinata del fianco meridionale dell’opera, privo di fossato perché affacciato verso il ripido versante che scende in val Terragnolo. Da questo blocco iniziava una galleria che raggiungeva altri due blocchi avanzati di minori dimensioni. Il primo era dotato di due cupole corazzate armate con mitragliatrici e ospitava al suo interno un ricovero protetto per 20 soldati che potevano rinforzare le difese predisposte all’esterno del blocco stesso in caso di attacco ravvicinato, mentre il blocco più avanzato era costituito da un cofano di controscarpa blindato su due piani. Al piano inferiore erano collocati due cannoni M.10 da 60 mm per la difesa del fossato e al piano superiore due mitragliatrici e due riflettori da 25 cm per la difesa di prossimità. Dal centro del forte, una lunga galleria in roccia di oltre trecento metri raggiungeva i dirupi affacciati sulla val Terragnolo, dove venne ricavata una batteria in caverna armata con due cannoni da montagna. La fortificazione venne progettata per resistere anche ai proiettili del moderno mortaio austriaco da 305 mm; di conseguenza, tutte le opere erano ricoperte da uno spesso strato di calcestruzzo di oltre due metri e mezzo rinforzato con putrelle d’acciaio da 50 cm. L’intero complesso era protetto su tre lati da un ampio fossato profondo fino a sette metri e completamente circondato da tre ordini di reticolati di filo spinato larghi 10 metri ciascuno.
Sotto il fuoco italiano
In seguito ai massicci bombardamenti italiani, che danneggiarono pesantemente i forti di Busa Verle e di Luserna, cancellandone tutte le vie di accesso, il forte venne anche dotato di un accesso protetto costituito da una galleria sotterranea lunga 260 metri, che iniziava nell’angolo nordovest del blocco esterno. La lunga galleria, il cui scavo si protrasse dai primi di settembre alla fine di novembre del 1915, venne anche dotata di 13 ricoveri laterali per dare un rifugio sicuro alla guarnigione in caso di bombardamenti con artiglieria pesante (oltre il calibro 305 mm) per cui il forte non era progettato, ma che gli italiani non avevano comunque in dotazione né all’inizio delle ostilità né durante l’unico anno che vide in combattimento forti austriaci. L’artiglieria italiana sparò il primo colpo contro il forte alle 4:00 del mattino del 25 maggio 1915, quando una batteria di obici da 280 mm postata sul monte Toraro iniziò il bombardamento da oltre 9 km di distanza, superiore alla gittata degli obici austriaci, che non poterono controbattere il fuoco avversario. Nei primi mesi di guerra furono indirizzati verso il forte oltre 10.000 proiettili di vario calibro, di cui quasi la metà appartenenti agli obici da 280 mm postati sul Toraro, presso forte Campomolon e al passo della Borcola. Data la notevole imprecisione del tiro d’artiglieria italiano da lunga distanza, dovuto alla vetustà degli obici da 280 mm e alla facile usura delle canne di quasi tutti i cannoni, solo il 40% dei proietti colpì l’interno del recinto fortificato e solo l’11% provocò danni alle sovrastrutture. La parte più danneggiata fu la galleria di collegamento seminterrata tra i due blocchi, che vide la volta in calcestruzzo armato, ma non rinforzato con putrelle d’acciaio, sfondata in più punti. Questa comunicazione venne sostituita fin dall’agosto del 1915 con una galleria sotterranea scavata in roccia. Alcune casematte per mitragliatrice furono danneggiate da colpi diretti sul carapace blindato, mentre una cupola corazzata ricevette un colpo diretto che provocò un’ammaccatura profonda 11 cm che la mise fuori uso per alcuni giorni. Durante i 12 mesi in cui il forte fu coinvolto nei combattimenti, i suoi obici da 100 mm spararono a loro volta oltre 26.000 proietti controbattendo le offensive italiane del 1915 e appoggiando l’avanzata delle truppe austriache nella prima fase della Strafexpedition del 1916. Come tutti gli altri forti del settore di Folgaria-Lavarone, non venne sottoposto ad attacchi da parte delle fanterie italiane, che non riuscirono mai ad avvicinarsi a sufficienza per impegnare direttamente le opere della cintura fortificata austriaca in questa parte degli altopiani trentini. Dopo il maggio del 1916 e per tutto il resto della guerra, il forte rimase nelle retrovie e non fu più coinvolto in operazioni belliche, passando poi sotto il controllo del demanio militare italiano nel primo dopoguerra. Nel 1931 la fortificazione venne sottoposta a numerose prove di tiro da parte dell’artiglieria italiana per saggiarne la resistenza e acquisire informazioni necessarie alla progettazione delle erigende opere del Vallo Alpino, in costruzione in quegli anni su tutti i confini del regno d’Italia. Il forte resistette molto bene agli impatti dei proietti da 305 mm, dimostrando ancora una volta la bontà del progetto costruttivo e l’alta qualità dei materiali impiegati dagli ingegneri militari austroungarici vent’anni prima. Tra il 1936 e il 1939 il forte fu oggetto di profonde demolizioni per la rimozione delle strutture di rinforzo in acciaio necessarie all’organizzazione bellica italiana, ma, data la massiccia struttura dei blocchi dovuta alla compattezza del calcestruzzo armato con cui vennero realizzati, la struttura mantiene tuttora una pianta molto ben leggibile, che consente di apprezzarne le grandiose dimensioni dopo oltre un secolo e dopo tutte le ingiurie subite dal tempo e soprattutto dall’uomo.
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