Le donne spia sono figure apparse recentemente nell’immaginario collettivo. Per secoli l’impiego della donna nello spionaggio è stato limitato da pregiudizi, tabù e luoghi comuni, che la relegavano a ruoli del tutto secondari o al massimo a quello di seduttrice.
di Domenico Vecchioni
Le donne spia sono il prodotto di una società recente, una figura professionale che, per affermarsi, ha dovuto superare stereotipi e discriminazioni. Per molto tempo, in effetti, lo spionaggio si espresse solo nella sua dimensione per così dire militare (guerra e spionaggio furono sempre considerati indissociabili e complementari), e si riteneva di conseguenza che le donne fossero meno capaci degli uomini nel maneggio delle armi e nelle attività «muscolari» del mondo dell’ombra: ricognizioni in territorio nemico, esfiltrazioni, sabotaggi. Si credeva inoltre che le donne spia fossero meno abili degli uomini nel mantenere i segreti, nel confondere l’avversario, nel fingere, nel mimetizzarsi, nel muoversi con discrezione. Quanto si sbagliavano!
Maestre di seduzione
Ora, a parte forse il maneggio delle armi, chi meglio di una donna, in effetti, sa mantenere un segreto, sa confondere l’avversario, sa fingere, sa mimetizzarsi e muoversi con discrezione?
Questi ingiustificati preconcetti, tuttavia, durarono molto a lungo, e in principio le donne spia furono utilizzate solo come corrieri per la consegna di messaggi riservati oltre le linee nemiche. Furono poi impiegate anche per assicurare il supporto logistico delle formazioni clandestine. Compiti, come si vede, di minore importanza.
Rimaneva, insomma, un approccio alla professione alquanto maschilista, in un universo tradizionalmente considerato appannaggio degli uomini, dove il miglior utilizzo possibile della donna si esprimeva nel campo della seduzione, per carpire segreti all’inconsapevole vittima di turno o per ricattare l’imprudente partner con la minaccia di uno scandalo familiare o politico.
Non mancarono peraltro singole figure femminili di spie che seppero offrire contributi informativi ben più significativi di quelli derivanti dalla semplice dimensione della seduzione o della consegna di carte segrete. Ma, appunto, furono figure isolate, che agivano in maniera saltuaria, per ragioni del tutto contingenti e non nell’ambito di una struttura organizzata e stabilmente operativa. Come avvenne, per esempio, durante la guerra civile americana con Sarah Emma Edmonds o Belle Boyd.

Sarah Emma Edmonds.
Spionaggio o intelligence?
L’impiego sistematico delle donne nello spionaggio prese forma solo nel XX secolo per due ordini principali di ragioni: l’evoluzione del concetto di spionaggio in quello più ampio di Intelligence e le mutazioni «genetiche» che la prima e le seconda guerra mondiale determinarono nelle attività finalizzate alla ricerca della verità nascosta.
Spionaggio e intelligence in effetti non sono esattamente la stessa cosa, non sono sinonimi: intelligence non è la versione elegante della parola spionaggio, che evoca sempre oscuri orizzonti.
Spionaggio è ricerca di notizie segrete con metodi non sempre legittimi, essenzialmente per preparare o vincere una guerra, per acquisire in maniera indebita vantaggiose posizioni economico-commerciali, e dove la commistione con la politica può assumere lineamenti ambigui e pericolosi. Lo spionaggio ha un inevitabile carattere aggressivo.

Eliza Manningham-Buller.
L’intelligence è raccolta, selezione e valutazione di informazioni riservate, ma sempre più spesso anche di quelle provenienti da fonti aperte, concernenti la sicurezza dello Stato, per evitare una guerra, un attacco terroristico, una sconfitta economico-commerciale. Senza dubbio, l’intelligence ha carattere difensivo. Parte di essa quindi si basa su studi, analisi, interpretazioni, previsioni, tecnologia, settori dove la donna iniziò a essere impiegata al pari degli uomini, conseguendo eccellenti risultati e aprendo via via la strada al suo utilizzo in tutti gli altri campi di attività. Fino a raggiungere più di recente i massimi livelli di responsabilità. Non a caso proprio in Gran Bretagna, dove ai tempi di Elisabetta Tudor nacque lo spionaggio moderno, due donne spia sono arrivate a dirigere l’MI5 (controspionaggio): Stella Rimington (1992-1997) ed Eliza Manningham-Buller (2002-2007). Ma anche in altri paesi si sono verificate situazioni simili.
Una nuova professionalità
Ora, le due principali tappe di questa lenta trasformazione degli apparati segreti furono raggiunte sotto la pressione degli eventi della prima e della seconda guerra mondiale. Due guerre che divennero presto «totali», obbligando cioè i belligeranti a impegnarsi con tutte le loro forze, tutte le loro capacità e potenzialità nei più svariati settori (tecnici, produttivi, economici, commerciali ecc.).
In altre parole, non bastava più raccogliere solo notizie militari, diventava invece indispensabile capire la capacità di tenuta complessiva del nemico. I servizi segreti, insomma, cambiarono pelle per adattarsi alle nuove esigenze informative, ricercando inedite professionalità.
In occasione della prima guerra mondiale lo spionaggio dovette aprirsi dunque al mondo dei civili: matematici, ingegneri, docenti universitari, linguisti, economisti, affiancarono il lavoro degli esperti militari, migliorandone in modo significativo i risultati. Attraverso questo varco, cominciarono a inserirsi anche le donne. Fu il periodo delle grandi donne spia, daElsbeth Schragmüller (Fräulein Doktor) a Mata Hari, da Edith Clavell a Marthe Richard.

Mata Hari in un’immagine d’epoca.
Con la seconda guerra mondiale questa tendenza si accentuò. I servizi speciali furono costretti ad adeguarsi alle strategie più sofisticate: spionaggio economico, propaganda politica, pratiche di deception (disinformazione), trasmissioni radio, intercettazioni, decifra di messaggi ecc. Settori dove le donne spia entrarono in perfetta sintonia con gli uomini, con cui oramai condivideva gli stessi rischi. Furono gli anni di spie del calibro e della qualità di Virginia Hall, Noor Inayat Kahn e Joséphine Baker.

Joséphine Baker nel 1927.
Il «secolo breve» sarà così popolato di grandi figure femminili che nel mondo dello spionaggio/intelligence eserciteranno ruoli di sempre maggiore responsabilità, fino ad arrivare all’apice con Gina Haspel, da poco nominata capo della CIA, la più potente organizzazione di intelligence al mondo.

Daniela Bianchi, attrice che impersona Tatiana Romanova nel film A 007, dalla Russia con amore (1963).
Al servizio di Sua Maestà
Il definitivo cambiamento di mentalità, il mutato approccio nei confronti dello spionaggio al femminile, lo si può del resto ricavare anche dai film di… James Bond. In effetti, uomo del suo tempo, Ian Fleming non avrebbe mai messo il suo alter ego 007 agli ordini di una donna! I suoi continuatori, invece, coloro cioè che scrissero romanzi e sceneggiature per continuare la fortunata saga cinematografica dopo l’esaurimento dei testi di Fleming, non esitarono a mettere Bond alle dipendenze di una donna, capo dell’MI6 (Intelligence Service), interpretato sullo schermo da una bravissima Judi Dench. Tennero conto cioè dell’evoluzione dei tempi e nessuno se ne scandalizzò.
La discriminazione a danno delle donne spia, presente nei servizi segreti da tempo immemore, era stata infine superata.
Lascia un commento