La via Aurelia: storia di un percorso calpestato da secoli di storia, alla scoperta di una strada consolare, poi passaggio per pellegrini e mercanti del Medioevo.
Di Diego Vaschetto.
Moneglia è la prima località ligure a non essere attraversata dalla via Aurelia e questo, tenendo lontano il grande traffico automobilistico degli anni del boom economico, ha consentito di preservarne quasi intatte le caratteristiche di piccolo borgo costiero, evitando le storture architettoniche degli anni Sessanta e Settanta che hanno stravolto gran parte della riviera ligure. A partire da Riva Trigoso gli Appennini si accostano al mare con lunghi contrafforti e formano una costiera aspra, frastagliata, con tratti che terminano con scogliere insuperabili o ripidi pendii coperti di fitti boschi difficili da attraversare. Per questo motivo, durante la costruzione della via Aurelia, la lunga strada consolare (circa 1200 km) che collegava Roma con Marsiglia iniziata nel III secolo a.C., gli ingegneri romani evitarono di affrontare con un tracciato costiero l’accidentata costa della riviera di Levante, preferendo un tracciato che si allontanasse dal mare, inoltrandosi per breve tratto in val di Vara per poi seguire il lungo crinale montuoso che divide il litorale dalla valle e dalla successiva val Petronio.
La strada della storia
Nonostante l’esatto tracciato della strada romana non sia mai stato individuato con precisione, gli storici sono abbastanza concordi nell’individuare il suo culmine, chiamato dai Romani Alpe Pennino, presso l’hospitale medievale di San Nicolao di Pietra Corice (o Colice), ubicato a nord dell’attuale passo del Bracco, attraversato dalla moderna Aurelia. Questo passo era di sicuro attraversato dalla strada durante il Medioevo, utilizzato per secoli dai pellegrini diretti verso Roma e attrezzato con un «hospitale» proprio per assistere i viandanti in transito, come riportato anche da un passo di un diploma di Carlo Magno, risalente al 774, dove si indica una «via pubblica» passante sul monte di Pietra Corice: via che l’impero carolingio doveva aver ereditato da quello romano. La «via pubblica» dell’VIII secolo era poco più di una mulattiera, ma anche le famose vie consolari romane non erano sempre ampie, lastricate e carrabili: nei difficili tratti montuosi si riducevano spesso a ripide vie sterrate con tratti tagliati e scalinati nella roccia, percorribili solo a piedi o con carovane di muli. Probabilmente, nei tratti più difficili tra Luni e Genova, anche la famosa via Aurelia si riduceva a una semplice mulattiera, pur restando una strategica via di collegamento fra Roma, l’Etruria e le città liguri.
Nel Medioevo: occhio al pedaggio!
La via tornò prepotentemente in auge durante il Medioevo, perché correndo all’interno della regione era più protetta delle vie costiere dalle incursioni saracene che per molti secoli resero insicuri i viaggi lungo la costa sia per mare sia per terra. Nonostante gli interessi degli armatori genovesi fossero indirizzati a favorire i commerci marittimi, poiché dal nolo delle imbarcazioni ricavavano ingenti profitti, la via di collegamento terrestre fra Sestri e la val di Vara veniva comunque percorsa da viandanti e pellegrini che non potevano permettersi i viaggi per mare e da lunghe carovane di muli dirette dalle località costiere verso l’interno della regione e la pianura padana. La via medievale percorreva in prevalenza il crinale, evitando così i fondovalle umidi, boscosi, insicuri e a rischio di alluvioni, dov’erano necessari costosi ponti in pietra per superare i numerosi corsi d’acqua che scendevano dai ripidi versanti. Evitava anche i centri abitati che facevano pagare salate gabelle per il loro attraversamento, appoggiandosi sulle numerose strutture monastiche che sorgevano in posizione isolata proprio per dare ospitalità ai viandanti su queste vie alternative. Nonostante tutto, la strada di Pietra Corice è menzionata in numerosi documenti medievali conservati nell’Archivio di Stato di Genova, nei quali si fa riferimento alla riscossione dei pedaggi, poiché i signori che possedevano queste terre traevano notevoli ricchezze dallo sfruttamento del passaggio delle mercanzie, sulle quali richiedevano pedaggi grazie al controllo del territorio tramite castelli e caseforti posti lungo l’intero tracciato, come il castello dei signori di Lagneto, sul monte Sant’Agata, o quello dei signori Da Passano, presso Piazza, o, ancora, quello dei signori di Celasco, sul monte Bardellone. In alcuni documenti notarili del XII-XIII secolo è riportato che questi signori imponevano pedaggi così esosi da costringere la Repubblica di Genova a intervenire, talvolta anche militarmente, per proteggere il regolare svolgimento dei traffici.
L’«hospitale»
L’antico «hospitale» di San Nicolao di Pietra Corice, probabilmente sorto sulle basi di una mansio romana, venne edificato a poca distanza dal valico della Foce di San Nicolao, importante crocevia dove l’antica Aurelia medievale incontrava da sud le importanti mulattiere provenienti dai porti commerciali rivieraschi di Levanto, Framura e Deiva, mentre verso nord si procedeva per linee di cresta verso il colle di Velva, il passo di Cento Croci e verso la pianura padana. Gli scavi archeologici sul sito, abbandonato nel XVI secolo, hanno evidenziato la presenza di un edificio adibito a ospitare i viandanti, di una chiesa a tre absidi e di un convento di monache. La storica via mantenne la sua importanza anche dopo l’abbandono dell’«hospitale», tant’è che viene ancora raffigurata in numerose carte redatte nel XVII-XVIII secolo. Tuttavia, molti documenti attestano quanto questo tratto fosse difficile da superare: in inverno era molto freddo, le frane e gli smottamenti erano frequenti; spesso vengono anche citate la ripidità e l’asprezza del tracciato: il sindaco di Moneglia, per esempio, nel 1663 osserva che a Pietra Crosa «per essere passo precipitoso conviene smontare da cavallo» e che è assai pericoloso anche il tratto che si tenta di fare sotto il passo «per schivare i dirupi». Il pericolo maggiore era però legato alla presenza di «ladri» o «briganti», e in molti documenti scritti conservati presso l’Archivio di Stato di Genova è riportata la pessima fama del monte di San Nicolao (allora denominato di Pietra Colice). Dato che il percorso presentava, allora come oggi, lunghi tratti disabitati e fittamente boscati, i viaggiatori erano spesso esposti al pericolo di essere assaliti, derubati e persino uccisi dai briganti che stavano in agguato sulle cime più sperdute. La Repubblica cercava di ovviare a questi pericoli invitando (o obbligando) le comunità locali a organizzare milizie comunali con compiti di controllo del territorio e di protezione dei viandanti, ma tali compiti erano invisi alle popolazioni e in ogni caso inefficaci, dato il completo dominio sulle vie di accesso che avevano le bande di predoni stanziate sulle alture, in grado di decidere per tempo se e come ritirarsi, evitando così lo scontro e la cattura.
La nuova via
Per ovviare a tutti questi problemi, che nel XVII secolo rendevano assai problematico anche il servizio postale della Repubblica genovese (una breve missione entro un raggio di 20 km poteva richiedere anche quattro giorni di viaggio, soprattutto con la cattiva stagione), nel 1688 venne avviata la realizzazione di una via costiera per i corrieri, che potevano avvalersi di sei stazioni di posta presso Moneglia, Framura, Levanto, Pignone, Spezia e Sarzana, dove cambiare cavallo per la posta celere o riposarsi per i servizi svolti a piedi. La strada del Bracco, indicata in alcune carte geografiche del XVIII secolo come «via Vecchia», perse un po’ d’importanza, sostituita dalla nuova via che correva parallela, ma più a sud e molto meglio esposta. La zona del passo del Bracco tornò all’onore delle cronache nel 1823, quando Carlo Felice, re di Sardegna, decise di far tracciare una vera strada carreggiabile, percorribile da carri e carrozze, seguendo il progetto realizzato due decenni prima dagli ingegneri napoleonici, con un tracciato disegnato appena più a sud della via medievale, lungo le falde meridionali del monte San Nicolao. La strada, inaugurata nel 1827, fu ammodernata con rettifiche e gallerie nel 1928 e fu rinominata Aurelia secondo l’uso del regime fascista di chiamare le nuove strade statali con i nomi delle antiche consolari romane.
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