Immersa tra boschi e vigneti (da qui proviene uno dei vini più interessanti della Sardegna), Atzara ha mantenuto un bel centro storico e un forte senso della tradizione: colori, modi e costumi che hanno portato qui tanti artisti nel corso del Novecento, come ben racconta l’imperdibile pinacoteca intitolata ad Antonio Ortiz Echagüe.
di Andrea Carpi
La zona di Atzara venne abitata già nel neolitico: ne sono prova le domus de janas di Corongiu Senes e i reperti (lame e punte di freccia) di Launisa. Passarono di qui poi i nuragici (di particolare interesse è il nuraghe di Abbagadda) e i Romani. Il borgo vero e proprio è di origine medievale e la sua nascita viene datata intorno all’anno Mille, fondato dagli abitanti di altri tre piccoli borghi scomparsi: Leonissa, Baddareddu e Pauli Cungiau.
Tra i secoli della storia
Tre insediamenti che la tradizione orale ha portato fino ai nostri giorni in un verso molto conosciuto: Cuaddariu nieddu, si andas a Baddareddu, narasidd’a Cillotta ca sa figia d’est morta, sa ch’hiat coiau a Paule Cungiau («Uomo in nero [che te ne vai] a cavallo, se passerai a Baddareddu, di’ a Cillotta che le è morta la figlia, quella che aveva maritato in Pauli Cungiau»). Sempre all’anno Mille si fa risalire la chiesa campestre di Santa Maria Bambina, ritenuta il centro di culto cristiano più antico della Barbagia. Atzara viene citata in diversi documenti tra l’XI e il XV secolo. Tra questi, i principali sono il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado (1120-1146: Atzara appartiene alla diocesi di Arborea) e il trattato di pace firmato nel 1388 dalla giudicessa Eleonora d’Arborea e dal re Giovanni d’Aragona. Nel periodo di Arborea fece parte della curatoria del Mandrolisai, mentre alla caduta del giudicato (1420) passò agli Aragonesi e venne incorporato nella contea di Mandrolisai. Nei primi decenni del Seicento il borgo s’ingrandì, accogliendo i superstiti (di una pestilenza, forse) del villaggio di Spasulè, che sarà abbandonato. Nel 1711 venne unito alla contea di San Martino, feudo dei Valentino, ai quali fu riscattato nel 1839.
Un centro veramente storico
Il centro storico custodisce la pregiata struttura urbana medievale, caratterizzata dall’architettura di gusto catalano. Tra le strette viuzze e i vicoli che confluiscono sulla piazza della chiesa di Sant’Antioco Martire, si possono osservare le case più antiche, edifici bassi in granito con gli originari solai in assi di quercia. Alcune costruzioni conservano intatte, ad abbellire porte e finestre, cornici in trachite, eleganti lavori di scalpello arricchiti da elementi architettonici e decorativi, mentre tra vicoli e piazzette, alternati alle case, si trovano i magasinos, cantine private che spesso nascondono soffitti in legno, botti in castagno, tavolacci, vino e la grande ospitalità degli atzaresi, sempre pronti ad accogliere il visitatore con un bicchiere di Mandrolisai. Punto di partenza per conoscere Atzara e il suo centro storico può essere il Museo Antonio Ortiz Echagüe, straordinario scrigno di arte contemporanea che raccoglie un centinaio di opere della scuola spagnola del Costrumbrismo (da costumbre, costume) e del suo filone sardo.
Il Costrumbrismo
Ma come sono arrivate queste opere (e questi pittori) proprio ad Atzara? Tutto comincia a Roma, all’inizio del Novecento. Un gruppo di giovani artisti spagnoli, ospiti dell’Accademia di Spagna, incontra per caso un gruppo di pellegrini provenienti dalla Sardegna per il Giubileo. I pittori notano l’abbigliamento dei sardi e s’incuriosiscono in particolare per il costume di Atzara, in un periodo in cui il folklore e la dimensione popolare e contadina erano al centro dell’attenzione degli artisti.
Il primo a giungere in Sardegna fu Eduardo Chicharro, di Madrid; ospitato dal possidente e politico di Atzara Bartolomeo Demurtas (noto come Ziu Arzolu) scelse di dipingere il ritorno dalla festa di San Mauro, ma ammalatosi di malaria dovette far rientro in Spagna. Nel 1907 fu la volta di Antonio Ortiz Echagüe, morto negli anni Quaranta, uno dei più celebri pittori spagnoli della sua generazione e fondatore del Costumbrismo. Anch’egli rimase colpito dalla bellezza del paese, dalla sua gente, dai suoi colori. Come il suo predecessore, per soggiornare in Sardegna dovette impegnarsi con il governo spagnolo a consegnare una tela e ci riuscì. Il quadro s’intitolava La festa della confraternita e ritraeva gente del luogo con il tradizionale costume. L’opera gli assicurò fama, successo e premi internazionali. Chicharro e Ortiz fecero scuola tra le vigne e le cantine di Atzara, tanto da gettare le basi per una sorta di «accademia spontanea». Su queste colline sorse un cenacolo al quale presero parte alcuni tra i più grandi pittori isolani: Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Carmelo Floris, Mario Delitala, Stanis Dessy e poi in seguito Bernardino Dequiros, Galep, Filippo Figari, Giuseppe Biasi. Atzara ha dato anche i natali a un importante artista sardo del Novecento: è Antonio Corriga, al quale va il merito di aver pensato per primo a una pinacoteca cittadina.
La chiesa di Sant’Antioco
A poche centinaia di metri una piazza ad anfiteatro introduce alla chiesa di San Giorgio, documentata già nel 1205: l’edificio è a navata unica, con una facciata semplice e il campanile a vela. Sull’omonima via si trova palazzo Su Conte, la residenza feudale dei conti di San Martino. L’edificio (del XV-XVI secolo) ha subito diverse trasformazioni e non è visitabile, ma nel patio si può ammirare la cupola maiolicata che protegge il pozzo. La tappa successiva è la chiesa di Sant’Antioco, uno degli edifici di culto più interessanti di tutta la zona. La chiesa venne costruita tra il XVI e il XVII secolo, con influenze stilistiche pisane e aragonesi (imitando le maniere del passato secondo i dettami del tempo) con interno gotico a tre navate. Spicca nella facciata in trachite il rosone, finemente lavorato. L’altare maggiore in legno, in stile spagnolo, ora è collocato nella cappella del Sacro Cuore. Meritano di essere ricordate alcune preziose argenterie di epoca cinquecentesca: un ostensorio di fattura spagnola, una croce di bottega cagliaritana. Di fronte alla chiesa, la vecchia casa parrocchiale coeva del palazzo di Su Conte conserva elementi di gusto aragonese, come la finestra con davanzale di trachite e la croce incisa sulla pietra. Non lontano, un’altra abitazione padronale che vale la pena vedere è casa Magganu, anch’essa dotata di elementi aragonesi di pregio.
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