Peschiera del Garda: borgo lacustre, fatto di ponti e canali, palazzi storici, chiese e fortificazioni. Ma anche una delle tappe che compongono la Strada dei Vini e dei Sapori del Garda, un percorso che si allunga tra le coste e le colline dell’entroterra, zona di produzione di vini DOC come il San Martino della Battaglia.
Di Laura Tajoli e Anna Brasca
A Peschiera del Garda lungo i piccoli moli del centro storico sostano le barche, affacciate sulle rive dello specchio d’acqua più grande d’Italia e sulle sponde del fiume Mincio. Peschiera è circondata completamente dall’acqua perché durante la costruzione della città murata il corso del fiume venne deviato in tre canali che le fanno da cornice e che le conferiscono un’aria quasi veneziana con ponti, piccoli moli, bei palazzi che si specchiano nell’acqua, chiese e fortificazioni.
Il luogo
Una passeggiata nel centro storico permette di scoprire tesori architettonici, che sono anche pezzi di storia, come la fortezza cinquecentesca dall’imponente cinta muraria o il ponte dei Voltoni con i suoi bellissimi archi in mattoni, presso il quale sostavano (lo fanno ancora oggi) le barche dei pescatori. Appena fuori dalla cittadina sono le tradizioni religiose a farsi incontro con una delle chiese più famose dell’area gardesana, il santuario della Madonna del Frassino, che richiama centinaia di fedeli ogni anno. Le caratteristiche di Peschiera del Garda la rendono adatta a soddisfare le più varie esigenze e i più disparati interessi: il turismo d’arte, come abbiamo visto, ma anche quello naturalistico. La cittadina è infatti il punto di partenza della pista ciclabile del fiume Mincio, affacciata sul versante meridionale del lago, che permette di godere di magici paesaggi. E per chi vuole rilassarsi prendendo il sole e facendo un tuffo refrigerante ci sono spiagge attrezzate sul lago e sul fiume.
La storia
È il 1861 e gli ufficiali del Genio della Marina asburgica (all’epoca Peschiera del Garda era parte del Lombardo-Veneto) stanno completando la costruzione del Marine Arsenal, quando dal fondo sabbioso del canale emergono degli oggetti in bronzo. Un anno dopo, il tenente Heinrich von Silber, presente al momento del ritrovamento, scriverà all’archeologo svizzero Ferdinand Keller che gli oggetti erano talmente numerosi da fargli ipotizzare che si trattasse del carico di una nave affondata oppure dei manufatti attribuibili a un villaggio palafitticolo, un’idea che lo convinceva di più visto che contemporaneamente era stata scoperta una serie di pali infissi sul fondo. Fu un ritrovamento straordinario, l’inizio di una serie di indagini e studi che portarono all’individuazione di altri villaggi su palafitte, tutti risalenti all’età del bronzo. La presenza dell’uomo nell’area di Peschiera ha dunque, come in altre località del lago di Garda, una forte antichità. Nel corso del tempo altre civiltà si avvicendarono: i Veneti, i Galli Cenomani e infine i Romani, che arrivarono qui nel I secolo prima di Cristo. La Peschiera romana aveva un nome diverso, si chiamava Arilica ed era un centro importante di scambi commerciali, favoriti anche dal fatto che la via Gallica passava di lì; era inoltre sede di una compagnia di navicellari che assicuravano servizi di trasporto con la parte nord del lago e lungo il Mincio. Plinio il Vecchio ne parla nella sua Historia naturalis, in relazione alla straordinaria abbondanza di anguille che ogni anno si raccoglierebbero nel punto di emissione del Mincio «all’incirca nel mese di ottobre, quando il lago è in burrasca». Poi cominciò il buio periodo delle invasioni barbariche. La leggenda narra che fu nei pressi di Peschiera, a Salionze, che papa Leone I fermò Attila e i suoi eserciti fronteggiandoli armato solo di una croce. Una leggenda appunto, ma comunque la realtà storica parla di un susseguirsi di popoli dal nord che portavano saccheggi e distruzione. I Longobardi, al solito, rappresentarono una luminosa eccezione: Arilica divenne importante dal punto di vista amministrativo e in un documento del re Rachis si trova menzionato per la prima volta il nuovo appellativo di «Piscaria», utilizzato però soprattutto per definire le attività dei cittadini del borgo. Dopo i Longobardi, Peschiera del Garda entrò a far parte dei domini dei Franchi, visse le travagliate vicende che dilaniarono l’impero carolingio al suo tramonto e infine, a partire dal XIII secolo, passò a Verona. E finalmente sul palcoscenico della storia fece la sua comparsa Mastino della Scala che cinse il borgo di mura e torri e costruì la rocca su fortificazioni preesistenti: infatti tutta la città murata è il risultato di una serie di strutture che si sono stratificate una sull’altra a partire dal VI secolo. Quando Peschiera, a partire da metà Quattrocento, entrò nei possedimenti della Repubblica di Venezia ci fu un ulteriore rafforzamento degli elementi difensivi di cui fu affidato il progetto a Guidobaldo della Rovere. Nel Seicento le fortificazioni furono migliorate con l’intervento dell’architetto Francesco Tensini e poi successivamente per mano dei francesi di Napoleone. Quando Peschiera del Garda passò all’Austria divenne, insieme a Mantova, Legnago e Verona, una delle quattro piazzeforti del poderoso sistema militare organizzato dall’Impero, al centro di tanti scontri per l’indipendenza italiana, il famoso «Quadrilatero». Nel corso dei decenni successivi in città furono eretti nuovi arsenali, caserme e palazzi che impressero a Peschiera del Garda l’inconfondibile impronta asburgica. Nel 1854, inoltre, fu inaugurato il ponte ferroviario sul Mincio e si aprì la nuova stazione ferroviaria, costruita in stile neomedievale. Il paese entrò a fare parte del Regno d’Italia nel 1866 e da quel momento seguì il destino della nuova nazione.

Il santuario della Madonna del Frassino.
La visita
L’aspetto odierno di Peschiera del Garda risale al Medioevo, quando il Mincio fu deviato in tre rami per far sì che potesse circondare completamente la cinta muraria e rendere il borgo una fortezza impossibile da espugnare. I suoi bastioni oggi alloggiano ristoranti, bar e negozi, ma non è difficile immaginare come la cittadina dovesse apparire un migliaio di anni or sono. Porta Verona, costruita su disegno del Sammicheli intorno alla metà del Cinquecento, è l’ingresso migliore in Peschiera del Garda. Ci si arriva dopo avere oltrepassato il ponte sul fiume Mincio. Entrati nel nucleo urbano sulla sinistra ecco l’ex caserma d’artiglieria, edificata nell’Ottocento, con una facciata composta da lesene e archi. La piazza alberata che si affaccia sul Canale di Mezzo ospita invece il neoclassico padiglione degli ufficiali, edificio che un tempo dava alloggio agli ufficiali asburgici insieme con le loro famiglie. Proprio di fronte c’è la ex caserma della fanteria, mentre sul lato più corto della piazza il palazzo del comando austriaco è un pezzo importante della storia italiana perché qui re Vittorio Emanuele III organizzò la sua resistenza a oltranza sulla linea del Piave nel corso del primo conflitto mondiale. Proseguendo nel centro storico si arriva nella zona pedonale e andando verso porta Brescia si ammira il lato ovest della fortezza. Da qui si va verso piazza d’Armi, con il carcere e l’ospedale militare costruiti dagli Austriaci nel 1866. Poco distante c’è la chiesa parrocchiale di San Martino: è una delle più antiche della diocesi di Verona, come è testimoniato da un documento del 1008 dove è citata: «De plebe S. Martini sita in vico Piscaria»; tuttavia l’edificio fu devastato durante la dominazione napoleonica quando venne requisito e trasformato in ospedale e magazzino e infine abbattuto perché pericolante. La chiesa venne ricostruita, grazie a una sovvenzione governativa del Lombardo- Veneto, e le fattezze attuali, interne ed esterne, risalgono a un periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento. Situata a fianco della chiesa, l’area archeologica romana merita una sosta. Aperta al pubblico, mostra i resti, risalenti al I secolo d.C., di un abitato composto da pochi edifici che avevano forse una duplice funzione, abitativa e artigianale. Sul lato ovest della piazza ci sono invece i resti della rocca scaligera con la cinquecentesca porta di accesso. Usciti dal borgo per un paio di chilometri, alla fine di un viale fiancheggiato da cipressi, ecco apparire il santuario della Madonna del Frassino. La sua edificazione è legata a un evento miracoloso che sarebbe lì avvenuto e che ci viene raccontato vividamente da Bartolomeo Speciani che del santuario fu Padre Superiore nel Seicento. L’11 maggio 1510 un contadino intento ad accorciare le viti (ecco la tradizione vitivinicola della zona!) si imbatté in uno spaventoso serpente: terrorizzato, l’uomo invocò il soccorso della Madonna ed ecco apparire tra le fronde di un frassino la santa immagine, in forma di statuetta. E fu proprio questa che il contadino si portò a casa, chiudendola a chiave in una cassa «… volendo egli solo essere il custode del acquistato Tesoro». Arriva il colpo di scena: il contadino vuole dare una sbirciata al suo «tesoro», apre la cassa, ma… la statuetta è scomparsa! L’uomo corre al luogo dell’apparizione e la Madonna è ritornata lì, tra le fronde del frassino. A questo punto la voce corre, tutti vogliono vedere la miracolosa statuetta, entrano in scena i maggiorenti della cittadina che vogliono trasportare la sacra immagine nella chiesa della Disciplina. Ma anche da qui, la statuetta sparisce per tornare ostinatamente dove era apparsa la prima volta. La Madonna aveva deciso e proprio in quel punto venne eretta una piccola cappella che poi sarebbe diventata il santuario che conosciamo. Torniamo a oggi: la chiesa, a cui si accede passando sotto un porticato che reca affreschi secenteschi di Domenico Muttoni, ha un’unica navata sulla quale si aprono dieci cappelle; di queste la più importante dal punto di vista religioso è la cappella della Madonna che custodisce la statuetta miracolosa. Da ammirare anche l’organo di Gaetano Callido, del XVIII secolo, l’altare maggiore e gli stalli del coro. Non lontano dal santuario merita una tappa il laghetto del Frassino, racchiuso in una cornice di campagna coltivata a vigneto, ricco di uccelli acquatici e di vegetazione; paradiso per gli amanti del birdwatching aggiunge il fascino della storia: in prossimità delle sue rive, infatti, furono trovati i resti di uno dei villaggi palafitticoli della zona, risalente al secondo millennio prima di Cristo.
Il San Martino della Battaglia DOC
Tutta la fascia di terra che si affaccia sulla parte meridionale del lago di Garda ha una storia vinicola remota, in parte legata alla produzione del Lugana e in parte all’uva friulana Tocai che in questa area ha trovato il suo habitat di elezione. In realtà, dal 2007 il vitigno ha assunto un altro nome: «Tuchi». Il motivo è un accordo bilaterale tra Ungheria e Unione europea che riserva la denominazione Tocai (Tokaji) solo al vino prodotto in Ungheria. Così sì è deciso di ribattezzare il vitigno con il termine dialettale bresciano «Tuchi». Il San Martino della Battaglia DOC è contraddistinto da piacevoli note aromatiche e da un’acidità moderata, per questo adatto ad accompagnare diversi piatti dal gusto delicato, antipasti e pietanze leggere. Esiste anche il San Martino della Battaglia versione liquorosa, ideale da sorseggiare a fine pasto insieme a formaggi erborinati e biscotti secchi, oppure da solo, come vino da meditazione. Sono produzioni da scoprire intraprendendo la Strada del Vino e dei Sapori del Garda, seguendo uno dei tanti itinerari che toccano cantine e ristoranti.
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