Il Piemonte militare, o come viene meglio definito, «l’eccezione militare del Piemonte» è un’espressione che sottolinea come lo Stato sabaudo, a partire dal Settecento, si sia dotato di un’organizzazione militare forte ed efficiente, al contrario di quanto avviene nel resto della Penisola.
Di Pier Giorgio Viberti
Piemonte militare o esercito prussiano? A questo proposito si è spesso individuato un parallelismo, abbastanza evidente a livello superficiale, tra lo stato sabaudo e la Prussia. A stimolare tale parallelismo è il fatto che entrambe le dinastie, quella degli Hohenzollern e quella dei Savoia, sono protagoniste di numerose guerre, attraverso le quali portano il loro dominio originario, abbastanza piccolo, a un ampliamento che si conclude con la creazione di uno Stato nazionale: l’Italia nel 1861, la Germania nel 1871.
In realtà quest’analogia non deve far dimenticare le diverse situazioni storiche, geografiche, politiche, economiche e culturali in cui maturano le due esperienze. Tuttavia, non essendo questo il tema di cui dobbiamo qui occuparci, concentreremo la nostra attenzione sullo Stato sabaudo. Quello che appare, se non una rivoluzione, perlomeno un deciso cambiamento d’indirizzo nell’organizzazione dell’esercito sabaudo inizia nei decenni a cavallo fra il Seicento e il Settecento. Prima d’allora nulla di diverso si può riscontrare nelle modalità di reclutamento, negli impieghi e nell’armamento delle truppe ducali. A produrre la cosiddetta «eccezione militare del Piemonte », oltre ad altre cause minori su cui non ci soffermeremo, è la differente situazione geopolitica di questa regione rispetto al Centro e al Sud Italia.
La consapevolezza di non poter restare neutrali nell’infinita lotta tra Spagna e Francia costringe i duchi – in particolare Amedeo II, la «Volpe Savoiarda» – ad affinare la loro abilità diplomatica e a predisporre un esercito in grado di difendere il territorio dagli attacchi nemici e, se possibile, di aumentarne l’estensione. La partecipazione alla Lega di Augusta e poi alle guerre di Successione spagnola e austriaca permette a Vittorio Amedeo II e al figlio Carlo Emanuele III di disporre dei generosi aiuti finanziari degli alleati, soprattutto dell’Inghilterra. La possibilità d’investire cospicui capitali nell’apparato militare fa sì che i Savoia mettano in campo un esercito rispettato dalle maggiori potenze europee e capace di conseguire vittorie spettacolari, come in occasione dell’assedio di Torino (1706) e della battaglia dell’Assietta (1747).
«Nella prima età moderna», osserva Paola Bianchi, «l’impatto della guerra aveva favorito un impiego del ‘militare’ più massiccio in Piemonte rispetto ad altri spazi italiani in conseguenza di situazioni contestuali; l’originalità piemontese non era dipesa cioè da scelte autonome o spontanee, ma da fattori legati al posto rivestito da questo ‘Stato di passi’, considerato a lungo una delle ‘porte d’Italia’.» Tale sviluppo si verifica mentre la parte rimanente della Penisola non è interessata da conflitti di vasta portata, e quindi dedica minore cura al rafforzamento dell’apparato bellico. Nello Stato sabaudo, a partire dagli ultimi decenni del Seicento, «la discontinuità e l’eterogeneità che avevano contraddistinto l’organizzazione delle truppe nei due secoli precedenti furono in larga misura superate» (Paola Bianchi, Immagine e realtà dell’«eccezione militare del Piemonte, in Il Piemonte come eccezione? Riflessioni sulla «Piedmontese exception», atti del seminario internazionale, Reggia di Venaria, 30 novembre – 1° dicembre 2007, Centro Studi Piemontesi, Torino 2008.
Vittorio Amedeo II
Una prima riforma è costituita dalla nascita di reggimenti ducali volti a sostituire i reggimenti reclutati dai nobili per conto del duca. In questo modo viene creata una forza militare stabile, meno soggetta alle variazioni numeriche proprie del periodo precedente, quando le differenze fra l’esercito di pace e quello di guerra erano notevolissime.

La battaglia di Staffarda.
Per quanto riguarda la composizione, un passo significativo compiuto da Vittorio Amedeo II è la completa abolizione dei picchieri e la creazione di reparti di granatieri, un corpo scelto composto da uomini alti e robusti capaci di lanciare le granate il più lontano possibile contro il nemico. Al termine della guerra di Successione spagnola, l’esercito sabaudo è costituito da una fanteria in parte nazionale in parte straniera e da una cavalleria tutta nazionale; a questi corpi si aggiunge una fanteria provinciale in sostituzione della milizia paesana fondata da Emanuele Filiberto nel 1566.
Carlo Alberto
I gradi superiori dell’esercito sono appannaggio esclusivo della nobiltà, mentre tra gli ufficiali di grado intermedio cominciano a comparire membri della borghesia. Il resto della truppa è formato da popolani. Dopo il periodo napoleonico e quello della Restaurazione, è il re Carlo Alberto a realizzare una profonda riforma dell’esercito, basata sull’integrazione di professionisti, militari di leva e militi territoriali.
Il nuovo ordinamento prevede che le forze armate siano costituite da tre componenti:
- soldati di mestiere, il cui numero viene raddoppiato, passando da 8000 a 16.000;
- militari di leva, che raggiungono il numero di 60.000;
- uomini della milizia territoriale, 54.000 in tutto, mobilitati in caso di guerra.
Il punto debole di questo sistema è costituito dal fatto che a guidare un esercito di ragguardevoli dimensioni sono chiamati soltanto gli ufficiali di carriera, il cui numero risulta del tutto insufficiente. Un altro difetto della riforma risiede nella quasi completa esclusione del ceto borghese dalle funzioni di comando, delegate tutte alla nobiltà.
Inoltre, il modo in cui era applicato il sistema della leva, a causa delle numerose esenzioni previste per motivi fisici, professionali o di famiglia, non chiama sotto le armi neppure la metà degli elementi in teoria idonei a prestare il servizio militare. «Non era», conclude Piero Pieri, «un vero esercito di professionisti, né soltanto un esercito di riservisti; cumulava più i danni che i vantaggi dei due sistemi.»
Vittorio Emanuele II
Una nuova riforma dell’esercito viene realizzata in Piemonte negli anni Cinquanta dell’Ottocento, poco prima della seconda guerra d’Indipendenza. Le nuove direttive sono rivolte soprattutto a ridefinire la durata del servizio militare, che viene stabilita in 5 anni di ferma effettiva, completata da 6 anni di militanza nella riserva, fino al compimento dei 30 anni. Un piccolo Piemonte militare, uno stato in divisa.
Durante questo periodo il riservista deve sottoporsi ogni anno a 50 giorni di addestramento obbligatorio. Poiché il numero dei chiamati è inferiore a quello complessivo della loro classe di appartenenza, il nome dei militari davvero arruolati è stabilito mediante sorteggio e prevede l’esenzione dietro pagamento o la sostituzione con un parente. Rispetto all’esercito albertino, quello disegnato dalla riforma ha una componente in più, costituita da 20.000 volontari non piemontesi, che costituiscono i Cacciatori delle Alpi. La parte più cospicua dell’esercito sabaudo è la fanteria, suddivisa in:
- fanteria d’ordinanza: comprende i fucilieri e i granatieri e conta 20.000 unità, che possono diventare 50.000 in tempo di guerra;
- fanteria provinciale: prevede una ferma di 20 anni ed è composta da personale non professionista;
- milizia territoriale: è costituita da volontari reclutati su base parrocchiale o comunale e opera in prevalenza nelle regioni montuose e collinari.
A questi reparti maggiori se ne aggiungono altri due, più ridotti sul piano numerico: la Legione Reale leggera, adibita soprattutto a combattere il contrabbando nelle zone di confine, e la Fanteria d’ordinanza estera, formata da stranieri o da italiani provenienti da altre regioni.
Tutta reclutata all’interno dei confini, la cavalleria comprende, oltre alle guardie del corpo al servizio del sovrano (120 in tempo di pace, fino a 260 in tempo di guerra), 6 reggimenti regolari, per un totale di 2420 cavalieri, che possono raddoppiare in tempo di guerra.
L’artiglieria, suddivisa nelle due sezioni, da campagna e da montagna, è sempre molto curata dall’esercito sabaudo, sul piano sia numerico sia qualitativo, anche se i cannoni in suo possesso non sono ancora dotati di canna rigata. È organizzata in brigate di 4/6 pezzi ciascuna, trainati da 300 cavalli. Le artiglierie sono in buona parte prodotte nella provincia di Biella, e da questa stessa zona proviene gran parte del personale addetto al loro funzionamento. Il Genio è costituito da 2 battaglioni del Reggimento Zappatori, di stanza a Casale Monferrato.
Ciascun battaglione è suddiviso in 5 compagnie, per un totale di 1000 uomini; le compagnie sono assegnate alle varie armi secondo le necessità tattiche e strategiche individuate dai comandi.
Lascia un commento