A tavola con il re di Sardegna come ci si comportava? Cosa si mangiava in una delle corti più importanti del Settecento italiano? Una ricostruzione storica dei cerimoniali al tavolo del re.
Di Andrea Merlotti
Stare a tavola con il re non era affatto cosa semplice, anche per i membri della corte. Nel Seicento il pranzo dei duchi di Savoia avveniva sempre, o quasi, in pubblico. Nel Settecento sempre, o quasi, in privato. Il Regolamento scritto nel 1679 dal segretario dei cerimoniali Bernardino Bianco, su incarico di Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, presentava diversi tipi di convitti, a partire da quelli «solenni», che si tenevano in occasione di nozze e della presenza a corte di «teste coronate e principi forestieri». Il «mangiare ordinario» del duca e della duchessa avveniva nelle anticamere, ed era quindi pubblico.
Il Regolamento spiegava però che il duca soleva «nella medesima anticamera mangiare talora con maggiore, talora con minore cerimonia». La differenza, però, non era grande. Nei pranzi più semplici la vivanda non era portata dalla cucina all’anticamera dai paggi, bensì da «servienti a ciò deputati», e i paggi la prendevano solo una volta che arrivava in sala. Inoltre, non si poneva «in capo della tavola» la nave d’argento dorato «piena di serviette bianchissime con odoriferi profumi». Dalla lettura attenta del testo emerge però l’esistenza di un terzo tipo di pranzo: quello «in camera», quindi privato. Ma esso non era oggetto di trattazione.

Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours.
Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III
La situazione cambiò in maniera radicale con l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo II. Non è chiaro da quando, ma certo già prima del 1713, i pranzi pubblici caddero in disuso, riservati solo alle giornate di gran gala e alle feste nuziali. I pranzi ordinari dei Savoia si spostarono dall’anticamera alla camera, passando dalla sfera pubblica a quella privata. Molti viaggiatori furono colpiti da questo cambiamento e ne diedero conto nei loro scritti. Keyßler scriveva nel 1729: «Il re mangia solo con il principe di Piemonte e con la moglie di questi». Si trattava, in realtà, di tutta la famiglia, poiché la regina Anna d’Orléans era scomparsa l’anno prima, gli altri figli erano anch’essi deceduti da tempo e il principe di Carignano Vittorio Amedeo – genero del re per averne sposato la figlia naturale avuta dalla contessa di Verrua – s’era trasferito in Francia, per sfuggire ai creditori, ormai da un decennio.
Nel 1731, quando sovrani erano Carlo Emanuele III e Polissena d’Assia, l’ufficiale prussiano George Ludwig von Pöllnitz confermava che «il re e la regina mangiano sempre insieme e non permettono a nessuno di guardarli, se non agli ufficiali di Camera che devono servirli». Trent’anni dopo nulla era cambiato. Lo storico francese Pierre-Jean Grosley nelle Observations sur l’Italie et les Italiens (1764) scriveva: «Il re e la famiglia reale non mangiano mai in pubblico; li si vede insieme solo negli uffici sacri che si tengono nella Regia Cappella. Tutta questa famiglia […] ha un’aria di gaiezza, di salute, d’unione e di gioia che è rara anche nelle famiglie normali ». Chiaro nelle sue parole era il confronto critico con quanto avveniva a Versailles, dove pranzi pubblici, pur limitati ad alcuni giorni, si tennero sino alle soglie della Rivoluzione e dove la famiglia reale era lacerata da conflitti che ebbero non piccola parte nella crisi degli anni Ottanta. Grazie a un progetto di cerimoniale scritto all’inizio del regno di Carlo Emanuele III, possiamo ricostruire i principali tipi di pranzo previsti alla corte sabauda, oltre a quello solenne.

Vittorio Amedeo II di Savoia.
Prima colazione
Quando il re si ritirava per dormire, l’aiutante di camera «di guardia» doveva «tener in luogo appartato ed opportuno, pane, vino, acqua, brodo, che si domanderà la colazione, con sottocoppa d’argento, servietta e bicchieri per ogni occorrenza». A portargli il brodo era il controllore delle cucine, cui spettava anche il compito dell’assaggio. Se al risveglio il sovrano voleva fare colazione, prendendo «ciocolato, te, brodo o altre simili cose», sarebbe stato il gentiluomo di camera a tenere la sottocoppa porgendo al re la «sarvietta» per asciugarsi le labbra.
Pranzo in camera da letto
Quando il re decideva di mangiare in camera da letto, il compito di servirlo spettava al gran ciambellano, insieme a due gentiluomini di camera: quello «di guardia» si sarebbe occupato del piatto, mentre quello «di ritegno» della coppa. Qualora il sovrano fosse stato ammalato, il gran ciambellano lo avrebbe servito del piatto e il gentiluomo di camera della coppa.
Pranzo in camera
Anche quando il re mangiava in camera (nel proprio appartamento, ma non a letto), il compito di servirlo spettava alla Camera e non alla Casa. Prima di tutto i garzoni di camera portavano le tavole nella sala. Gli aiutanti di camera le preparavano prima dell’arrivo del re e dei commensali. Se per qualche ragione il re fosse già stato presente nella sala, gli aiutanti avrebbero solo portato «mantile e posate sino alla tavola» e poi il compito di apparecchiare sarebbe stato assunto dai gentiluomini di camera. Il cibo giungeva dalle cucina sotto la supervisione del maggiordomo (carica della Casa). Questi aveva in precedenza avuto dal sovrano indicazioni su che cosa preferisse mangiare. Gli uomini della cucina, però, non entravano nella camera, ma sulla porta consegnavano tutto ai paggi e agli aiutanti di camera. I cibi venivano posti su un «buffetto» da cui paggi e aiutanti li passavano al gentiluomo, che li portava in tavola.
Prima che il re iniziasse a mangiare, il gentiluomo li toccava con un pezzo di pane (collocato a questo scopo su un vassoio, detto «tondo dell’assaggio») che veniva poi dato da mangiare a un paggio o all’aiutante di camera. Il compito di porgere al re la «sarvietta» per lavarsi le mani («sarvietta» che un paggio aveva preparato su un altro «tondo ») spettava al gran ciambellano o al gentiluomo di camera. Lo stesso per il compito di «dare la sedia a Sua Maestà». Quando il re voleva bere, il gentiluomo di camera «di ritegno» (incaricato di servire «alla coppa») si recava alla porta della sala, dove era il «somigliere». Questi gli passava il bicchiere e le caraffe dell’acqua e del vino, non prima però d’averne fatto l’assaggio alla presenza del gentiluomo. Nel caso il re volesse esser servito «in tutta cerimonia» anche il gentiluomo avrebbe dovuto fare un secondo assaggio prima di servire il re.

Carlo Emanuele III
«Tavola ordinaria del re in Torino»: il pranzo in famiglia a Palazzo Reale
I tipi di pranzo che abbiamo sinora presentato erano però praticati di rado dal re. Il cerimoniale era molto chiaro a questo proposito: «Mangia la Maestà Sua d’ordinario con sua famiglia, sia pranzando sia cenando, e ciò in una delle camere interne del suo appartamento. Ivi vien servita senza pubbliche formalità di cerimoniale». I soggetti coinvolti erano gli stessi già descritti sopra: garzoni di camera, aiutanti di camera, gentiluomo di camera, maggiordomo. I garzoni di camera andavano al «buffetto prender il mantile e li coperti» dei sovrani e dei principi e li passavano agli aiutanti di camera, che apparecchiavano la tavola. Il maggiordomo intanto si preoccupava che il cibo fosse portato dalle cucine al «buffetto». Qui lo prendevano i garzoni che lo portavano nella camera (sembrerebbe quindi che non dovessero fermarsi sulla porta) e lo passavano agli aiutanti. Questi a loro volta lo apparecchiavano.
«Quando il pranzo sarà servito il maggiordomo di quartiere andrà a fare la riverenza al re», avvertendolo che tutto era pronto. A quel punto il re entrava nella sala, lasciando cappello e bastone all’aiutante di camera. Un altro aiutante di camera porgeva al principe ereditario il vassoio con le «sarviette» per il re e la regina, così che questi la desse a sua volta ai genitori. Gran maestro, primo maggiordomo e maggiordomo di quartiere avevano diritto di entrare in camera assistendo al pranzo, ma non avevano alcuna funzione e non potevano nemmeno mettersi alle spalle del re. Anche il controllore di cucina poteva entrare, per prendere eventuali ordini, ma doveva aver «l’attenzione di star vicino alla porta, senz’entrar troppo avanti». Se il re avesse voluto che «intervenissero molte dame», il servizio sarebbe spettato ai paggi, ed allora gran maestro, primo maggiordomo e maggiordomo di quartiere avrebbero esercitato tutte le loro funzioni prendendo posto dietro le sedie dei sovrani. Se poi il re avesse voluto «esser servito dai cavalieri», il compito sarebbe spettato a gentiluomini di camera, essendo un pranzo privato.
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