L’Asino è il popolo: utile, paziente e bastonato. Questo il titolo di una rivista satirica che fece storia in Italia. Socialista e anticlericale, godette di grande diffusione popolare grazie a una retorica immediata e disegni di forte impatto.
Di Roberto Bamberga
Non è facile riassumere L’Asino e la sua storia editoriale in pochi paragrafi. Innanzitutto, perché parliamo di una rivista che copre circa un trentennio di storia italiana, dal 1892 al 1925 (però con un’interruzione durata quattro anni, dal 1918 al 1921). In secondo luogo, perché di spunti per un’analisi critica L’Asino ne offre fin troppi: dallo stile della comunicazione ai contenuti scelti, fino a testimoniare le evoluzioni e le trasformazioni della galassia socialista in cui la rivista si muoveva. E potremmo anche andare oltre.
L’Asino
Quando fondarono L’Asino, Guido Podrecca (1865-1923) e Gabriele Galantara (1867-1937) non avevano ancora trent’anni. Avevano già collaborato a Bologna, redigendo riviste goliardiche: erano ovviamente entrambi socialisti. L’Asino fu fondato a Roma, a poca distanza sia da quei palazzi in cui si rappresentava il nuovo Stato, sia da quelli in cui sopravviveva e si riorganizzava il potere pontificio, futuri bersagli prediletti dei «ragli dell’asino». Il primo numero uscì in bianco e nero il 27 novembre 1892. Ma già con quello del 1° gennaio 1893 apparvero i colori, una mossa sicuramente importante per la diffusione e il successo cui il giornale andò incontro negli anni successivi, negli ambienti popolari. Fin dal primo numero, l’intento della rivista era evidente: le pagine dell’Asino mescolavano satira – politica e mordace – all’informazione «libera».
Un viaggio nella pancia del socialismo italiano
La storia della rivista corse parallela a quella degli anni «eroici» del partito socialista italiano, dalla fondazione (stesso anno dell’Asino, 1892) fino alla sua soppressione. Un’avventura non proprio di breve termine, insomma, ma che illustra, nella progressione cronologica dei fatti, delle critiche e dei bersagli dell’Asino, buona parte della cronaca di quegli anni, ormai consacrata a storia. Nata nei giorni dello scandalo dalla Banca Romana, proseguì la propria avventura nel clima plumbeo delle repressioni di fine Ottocento, consacrando, con l’avvento del nuovo secolo, la Chiesa a proprio bersaglio principale, tanto da ergersi come rivista paladina dell’anticlericalismo.
Eppure, nonostante la lunga militanza dei due fondatori, la relazione tra L’Asino e le alte sfere del partito fu sempre abbastanza gelida. In primo luogo perché la rivista, nonostante la fama crescente (nei primi anni del Novecento toccò le 100.000 copie), non fu mai strumento diretto del partito; in secondo luogo perché si tenne sempre a debita distanza dalla «testa» del partito (impegnata in studi, analisi e strategie) per comunicare direttamente alla «pancia» dei suoi tesserati. Così, per esempio, se gli intellettuali e il gruppo dirigente si posero più volte il problema di come raggiungere e portare dalla propria parte la «silenziosa massa cattolica», teorizzando modi di contatto corretti e fruttuosi, L’Asino preferì le maniere spicce, denunciando vizi e turpitudini dei preti.
Al socialismo nuoce più che giovare il superficiale, volgare e violento anticlericalismo impersonato da un settimanale che ha larga diffusione, rappresenta spesso l’oscenità, e raccoglie larga messe di querele per diffamazione, per accuse ad ecclesiastici, di cui il tribunale non può provarne la consistenza, l’Asino di Guido Podrecca; il clero non è costituito dai preti quali Podrecca li immagina e il suo settimanale li raffigura nelle sue vignette a colori e con aspetti disgustosi. (Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, 1965).
Semplice, virale ed efficace
L’Asino si richiamò in modo generico ai principi marxisti, navigando però alla larga da ulteriori distinzioni o precisazioni. Le sue copertine e i suoi articoli vagheggiavano una rivoluzione sociale, un sollevamento del povero contro il ricco squalo della finanza – o il prete ingrassato di elemosine – ma nulla di più: si attendeva fideisticamente l’ora della riscossa, vista come inevitabile. Un’attesa che non contraddistinse solo L’Asino, ma che ritroviamo in vari scritti e opere di molte delle anime (o correnti) che composero, in quegli anni, il socialismo italiano. In più, a scavare un fossato tra questa rivista e le altre più blasonate (basti pensare alla Critica Sociale di Turati), erano lo stile e il messaggio. Per nulla interessato all’elevazione o all’apprendimento del proprio lettore, L’Asino portava la sua propaganda a un livello di comunicazione elementare, fatto di stereotipi, maschere da commedia dell’arte e figure ben piantate nell’immaginario popolare. Il suo fine era «smascherare le imposture», scardinare vecchi schemi mentali e visioni di mondo consolidate.
Per farcela puntò tutto su una «campagna semplice e virale» (come si direbbe oggi), battendo dieci, cento volte sullo stesso tasto, mostrando i propri avversari politici con tratti degradati o deformati. Nulla di nuovo, per carità, neppure per quell’epoca: ma la forza espressiva delle vignette di Galantara (forse anche di più dei testi di Podrecca) è avvertibile ancora oggi e l’impatto sul pubblico testimoniato dai dati di stampa. Il suo semplicismo gli allontanò il favore dei grandi protagonisti del progressismo italiano (da Turati a Salvemini), ma gli consentì di fare breccia in un mondo popolare che attendeva di essere politicamente alfabetizzato.
Una battaglia per la moralità
L’anticlericalismo fu certo una componente importante, che L’Asino cavalcò attraverso facili retoriche e comunicazioni immediate, ma, va detto, non fu l’unico contenuto su cui la rivista impostò la sua battaglia. Come scrisse nel 1970 Giorgio Candeloro, ciò che L’Asino volle tentare fu l’attacco ai preti e, più in generale alla Chiesa, muovendo sul loro stesso campo, quello della morale e della difesa dei costumi. Anche in questo caso non fu il solo, nella galassia socialista, a impugnare queste armi. Si trattò di una terapia d’urto ben lontana dall’educazione lenta e paziente delle masse, approvata invece dai professori del partito. Come scrisse Candeloro «alla propaganda clericale, che dipingeva i socialisti come nemici della morale e della famiglia, apostoli di sovversione e violenza, L’Asino rispose delineando l’immagine del prete lussurioso, goloso, avido, corrotto e corruttore, sempre pronto a sfruttare l’ignoranza e la superstizione dei poveri e la paura e la cattiva coscienza dei ricchi per soddisfare le sue brame libidinose, accumulare denaro e accrescere la potenza materiale della Chiesa». Una battaglia per il primato morale.
La fine dell’Asino
A differenza di quanto si potrebbe immaginare, Podrecca durante la militanza socialista non abbracciò posizioni rivoluzionarie ma riformiste. Più vicino a Bissolati che a Turati, fu espulso con il primo dal partito nel 1912, per «posizioni guerrafondaie», dovute all’adesione del giornalista alla guerra di Libia. Per un paio d’anni i lettori dell’Asino ebbero così tra le mani una rivista schizofrenica: da una parte gli articoli di Podrecca, elogiativi dell’intevento armato, dall’altro le vignette antimilitariste di Galantara (rimasto in seno al Psi). Le posizioni che si ricompattarono nei mesi della neutralità italiana, quando entrambi si trovarono a professarsi interventisti. L’Asino trasformò gli imperatori Gulglielmo II e Francesco Giuseppe in Guglielmone e Cecco Beppe: ancora una volta una deformazione.
Nel 1918 lo stop, dovuto a problemi materiali ed economici, sancì di fatto la fine della collaborazione tra i fondatori. Se Podrecca da lì a poco aderì al fascismo, prestando la propria penna alle colonne del Popolo d’Italia, Galantara rientrò nei ranghi del partito socialista e riaprì L’Asino nel 1921. Il nuovo settimanale, stampato a Milano nella tipografia dell’Avanti!, cercò di rientrare in carreggiata dopo gli anni dell’anticlericalismo e dell’interventismo. Ma durò poco: il regime impose il silenzio e L’Asino ammutolì i suoi ragli.
Lascia un commento