Madre della scrittrice Goliarda Sapienza, Maria Giudice fu una delle protagoniste femminili del primo Novecento italiano: una figura da riscoprire.
Di Marcella Filippa
I moti dell’agosto 1917, scoppiati a Torino per il pane e la pace, videro le donne protagoniste e in prima fila; tra esse vogliamo ricordarne una in particolare: Maria Giudice (1880-1953). Maestra elementare nata a Codevilla, in provincia di Voghera, madre di otto figli. I primi sette furono concepiti dalla libera unione con Carlo Civardi, bracciante anarchico, che morirà al fronte nell’ottobre del 1917.
L’ultima figlia, Goliarda, nacque dalla relazione amorosa con l’avvocato siciliano Giuseppe Sapienza, conosciuto negli anni in cui fu inviata dal PSI, nel quale militava da sempre, nell’isola a difendere e tutelare i diritti dei braccianti. Di Goliarda si ricorda il bel romanzo, il suo capolavoro, L’arte della scienza, nel quale tra l’altro viene descritta in più passaggi la storia di Maria, sua madre: donna coraggiosa, passionale però mai nominata come madre.
Tra emancipazione e politica
Maria, accanita lettrice, segretaria della Camera del Lavoro di Voghera – prima donna a ricoprire quell’incarico – viene inviata dal PSI a Torino, dove presto assumerà la segreteria dello stesso partito; dirigerà il Grido del Popolo, scrivendo pagine memorabili con lo pseudonimo di «Magda», e sarà poi nominata segretaria della Camera del Lavoro del capoluogo piemontese. La troviamo in prima fila a boicottare le attività collegate al conflitto, e attiva animatrice del comitato «Pro-pace».
Accusata più e più volte di esser la mandante morale di scioperi e lotte, ancor prima dell’agosto 1917, viene incarcerata numerose volte. Nel 1914 a Borgosesia organizza un lungo sciopero delle operaie tessili, che intraprendono una lotta pacifica, sdraiate sul selciato a terra in segno di protesta. Negli anni del fascismo andrà volontariamente in esilio a Lugano, e lì tesserà una lunga e fruttuosa amicizia con la dirigente socialista Angelica Balabanoff.
È un misto di dolore e di gioia, di disperazione e di fermezza. Ottiene il sorriso dagli umili, l’irrisione dagli altri, il silenzio dai suoi compagni. La lotta lima la sua anima, diventa un demone quando vorrebbe apparire forte.
(dalla requisitoria dal processo sui fatti di Torino del 1917, Avanti! 31 luglio 1918)
Una vita difficile
Il suo lungo e inesauribile impegno sarà segnato da privazioni, indigenza, financo povertà assoluta, che si intrecciano con le crescenti difficoltà legate al mantenimento della numerosa prole e i lunghi periodi trascorsi in carcere. Di lei avrà a dire il pubblico ministero nella requisitoria al processo per i fatti dell’agosto 1917, che ella è una vera e propria «demone», anche se verrà richiesta per lei una pena minore, in quanto «appartenente al sesso femminile e madre».
I patimenti subiti nel corso dell’intera sua esistenza saranno con tutta probabilità la principale causa dei suoi malesseri in età matura, fino alla depressione, e ai primi sintomi di follia che la porteranno negli anni vissuti a Roma con la figlia a un progressivo declino e alla perdita del sé e della memoria, fino alla morte avvenuta nel 1953. La figlia Goliarda avrà a scrivere sui suoi taccuini: «Mamma, mamma mia, grande amore ed esempio per me sempre».
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