Sant’Andrea di Vercelli oggi compie 800 anni. Una data che festeggiamo con la seconda parte dell’intervista a Simone Caldano, assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Firenze. Si parla del contesto storico in cui fu eretta la chiesa, del comune di Vercelli e di Guala Bicchieri.
Di Roberto Bamberga.
[QUI LA PRIMA PARTE DELL’INTERVISTA]
Possiamo sapere oggi quale sia stato l’impatto urbanistico di Sant’Andrea a Vercelli al momento della sua costruzione?
Questo non è del tutto chiaro. Sappiamo che Sant’Andrea esiste sul luogo di una chiesa precedente più piccola, ma non sappiamo se e in quale misura la disposizione degli spazi possa ricalcare qualche preesistenza. Probabilmente no, perché si trattava di un cantiere di grandissima portata: dobbiamo infatti ricordare che, oltre alla chiesa, il complesso includeva anche l’ospedale, di cui si conserva il cosiddetto salone «Dugentesco» (dove in realtà risale al Duecento solo il portico). La sala attuale risale infatti al Quattrocento. Tornando al nocciolo della domanda non è chiaro se nel tardo Medioevo ci sia stata una revisione urbanistica di quella parte di città, che si trovava ai margini del tessuto urbano. Peraltro, a rendere il quadro ancora più intrigante, le indagini degli ultimi anni hanno appurato che non c’è continuità urbanistica tra il tessuto urbano romano e la città medievale e moderna. Certamente Sant’Andrea e le sue pertinenze ebbero un ruolo significativo nella «rimodellazione» del comparto nord-occidentale della città. In futuro l’apporto degli archeologi permetterà di condurre verifiche importanti in questo senso.
Il comune di Vercelli ai tempi del cantiere di Sant’Andrea era veramente uno dei protagonisti politici del Nord Ovest?
Il comune di Vercelli ebbe un ruolo preponderante nel Nord Ovest e lo si vede bene sia nelle frizioni costanti con le città confinanti, che regolarmente l’hanno visto vincitore, sia nell’impegno profuso per espandere il proprio dominio sui territori circostanti. Nel primo caso è emblematica la lotta contro Novara, una costante sul confine del Sesia. Un esempio per dare l’idea di quanto Novara soggiacesse a Vercelli: nel 1200 papa Innocenzo III minacciò di smembrare la diocesi di Novara se i novaresi non si fossero dati una calmata nelle loro azioni contro i vercellesi. E questo dà l’idea dei rapporti di forza. In più, Vercelli contava molte teste di ponte a est del fiume: per esempio Casalvolone era sotto la giurisdizione vercellese, benché ecclesiasticamente il villaggio fosse sottoposto alla diocesi di Novara. Quest’ultimo esempio apre al secondo argomento: l’espansione del comune fuori dalle mura cittadine. Un ingrandimento sul territorio che possiamo misurare attraverso la fondazione dei borghi franchi e dei borghi nuovi: Vercelli ne fondò circa una ventina – non c’è un’altra città italiana che ne abbia fondati così tanti – in meno di cento anni: da Villanova Monferrato, fondata nel 1197, a Borgo d’Ale nel 1270. Ovviamente si trattò di un’espansione a volte contrastata dai poteri locali; l’aneddoto che qui potrei portare è quello legato alla fondazione del borgo franco di Piverone, un’operazione molto lunga che durò dal 1202 al 1210, con l’intento di costituire un avamposto in terra eporediese. Bene, nel 1210 l’abate di Santo Stefano di Ivrea, l’arcidiacono della cattedrale della stessa Ivrea, e una parte della popolazione eporediese andarono a prendere letteralmente a sassate il cantiere del borgo nuovo, perché non volevano avere un avamposto del potere vercellese così vicino a Ivrea.
E dentro le mura com’era Vercelli?
Immaginiamocela come una città con traffici commerciali considerevoli, collocata al centro di arterie viarie di grande rilevanza (era, per esempio, una tappa della via Francigena), una città che disponeva dei mezzi necessari per avviare la costruzione di edifici molto importanti, pubblici e privati (basti pensare alle torri che documentano il prestigio delle famiglie che le costruirono). In più, un’idea dello splendore di Vercelli fra il dodicesimo e il tredicesimo secolo si trova anche nelle chiese ancora conservate in città: San Bernardo, San Paolo, San Francesco e San Marco.
Un’età dell’oro terminata con la dominazione viscontea.
Non proprio. Se è vero che la perdita dell’autonomia comunale si data al Trecento, quando entrarono in città i Visconti, è altrettanto vero che il passaggio di Vercelli sotto il dominio milanese non ha comportato un significativo impoverimento della città, che perse d’importanza, di fatto, solo con il passaggio al ducato sabaudo nel 1427. Ovviamente da questo passaggio derivarono cambiamenti importanti: per esempio, di recente Alessandro Barbero ha dimostrato in maniera molto evidente come fin da subito la città adottò una rendicontazione fiscale secondo le norme impartite dal dominio sabaudo e lo stesso, ovviamente, vale per la legislazione. Però, dal punto di vista architettonico, Vercelli continuò a parlare lombardo fino alla fine del Quattrocento e all’inizio del Cinquecento: si prenda il caso di Palazzo Centoris, che risente fortemente dell’architettura bramantesca.
Insomma, forse nasce da questo momento quel Piemonte orientale così affine alla Lombardia che ancora oggi costituisce una delle anime culturali della regione. Per concludere passerei al vero protagonista della costruzione di Sant’Andrea di Vercelli, ovvero Guala Bicchieri. Puoi delinearcene un profilo?
Guala Bicchieri fu un personaggio di assoluto rilievo internazionale, sia nel campo religioso sia in quello politico. Verosimilmente nacque a Vercelli tra il 1150 e il 1160 (l’anno non è noto). Nel 1187 entrò a far parte del capitolo della cattedrale di Vercelli – c’è chi ha avanzato l’ipotesi che in seguito sia andato a Bologna a perfezionare la propria formazione in ambito giuridico – poi iniziò, non si sa bene come, un importante avanzamento di carriera. Nel 1205 diventò cardinale di Santa Maria in Portico e successivamente, tra il 1206 e il 1207, si recò in Francia come legato papale per promuovere la crociata, riportare la disciplina in diverse istituzioni ecclesiastiche e a occuparsi del divorzio del re di Francia, Filippo Augusto, che aveva ripudiato la moglie Ingeborga di Danimarca nel 1193. Tra le istituzioni con cui ebbe a che fare bisogna sottolineare la cattedrale di Limoges, dove si recò ed ebbe modo di conoscere i famosi smalti, che in seguito ebbero un ruolo fondamentale nell’ambito delle sue committenze artistiche. Innocenzo III, soddisfatto del suo operato, lo promosse: nel 1211 Guala diventò cardinale con titolo presbiterale dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.
Basterebbe già questo per renderlo un personaggio fuori dal comune.
Sì, ma non è tutto. Sappiamo che nel 1215 stava già iniziando le operazioni per fondare una canonica regolare a Vercelli, ma il progetto dovette rallentare poiché tra il 1216 e il 1218 partì per l’Inghilterra, dove regnava il caos: molti nobili si erano ribellati al re, Giovanni Senza Terra, reo di aver revocato la Magna Charta dopo averla concessa nel 1215. La revoca del documento, che regolamentava le prerogative del re e dei nobili, aveva creato una ribellione tra le fila degli aristocratici inglesi, che iniziarono a parteggiare per Luigi VIII, re di Francia, interessato alla conquista dell’isola. Guala fu inviato dalla corte papale con lo scopo di sistemare questa situazione «esplosiva». Viaggiò in molte città inglesi per radunare la nobiltà fedele a Giovanni Senza Terra, che però morì improvvisamente, facendo ulteriormente precipitare la situazione: il figlio, Enrico III Plantageneto, era infatti ancora minorenne e Guala divenne di fatto il reggente del regno, nonché tutore del giovane principe. Il vercellese mise ordine tra la nobiltà e nel 1216 promulgò nuovamente la Magna Charta, sottoscrivendola. Quando Enrico III Plantageneto divenne maggiorenne, in segno di riconoscimento, donò a Guala le rendite dell’abbazia di Chesterton. Questi le cedette all’abbazia di Sant’Andrea che continuò a percepirle fino al quindicesimo secolo. Nel ritorno dall’Inghilterra Guala fece tappa a Parigi, rimanendo affascinato dall’esperienza dei canonici di Ugo di San Vittore, ed è verosimilmente in questo momento che scelse di chiamare una comunità di Vittorini a insediarsi nella «sua» nuova abbazia vercellese. Tornato a Vercelli, il 19 febbraio 1219 posò la prima pietra di Sant’Andrea con Ugo di Sessa, vescovo della città. In relazione all’edificio Guala svolse un ruolo di primo piano non solo come promotore ma anche, con tutta probabilità, nella fase progettuale (Tommaso Gallo, come detto in precedenza, arrivò solo qualche anno più tardi). Continuò ad avere un ruolo molto importante in ambito politico: nel 1225 papa Onorio III lo inviò a San Germano, in Campania, per consegnare a Federico II un’importante lettera, con il quale il pontefice esortava l’imperatore a bandire una nuova crociata. Morì il 30 maggio 1227.
Un personaggio assolutamente affascinante, che tra l’altro lasciò ai posteri oggetti di grande valore artistico, testimoni di un gusto particolare.
Guala visse principalmente a Roma per gran parte della propria vita. Qui aveva un palazzo nei pressi della chiesa di Santa Maria Maggiore e proprio nella cappella di San Silvestro del convento di San Martino ai Monti, dove era cardinale, fece realizzare un ciclo di affreschi molto importante. Oggi il ciclo non esiste più, ma lo conosciamo grazie agli acquerelli secenteschi di Marco Tullio Montagna. La cosa che stupisce è che erano di gusto bizantineggiante, uno stile ben diverso da quello degli smalti commissionati dal cardinale in Francia. Nel 1224 venne compilato un inventario dettagliatissimo di tutti i suoi beni: si tratta di un tesoro arrivato fino a noi per buona metà. Tra gli oggetti si deve ricordare almeno un coltello con il manico in legno di bosso, splendidamente intagliato con le raffigurazioni dei Mesi, che negli inventari medievali di Sant’Andrea è identificato con il coltello utilizzato per assassinare Thomas Becket, ma si tratta di un coltellino eucaristico. In definitiva possiamo dire che Sant’Andrea sia lo «specchio» della cultura di Guala Bicchieri. Ma non solo Sant’Andrea: gli smalti limosini, gli oggetti liturgici, i preziosi manoscritti miniati ci permettono di conoscere a fondo l’affascinante personalità di uno dei massimi committenti della prima metà del XIII secolo.
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Figura estremamente interessante quella di Guala Bicchieri di cui conoscevo solo qialche vaga informazione. Articolo molto interessante. Grazie !