Cent’anni fa si combatté la seconda battaglia della Marna, l’inizio della fine per l’esercito tedesco. Una serie di scontri seguiti all’Offensiva di primavera, cui partecipò anche un corpo d’armata italiano che diede prova del proprio valore, dopo il disastro di Caporetto e le accuse di disfattismo.
Di Claudio Razeto
La controffensiva alleata sulla Marna, che si svolse nel luglio 1918 sul fronte occidentale vide la partecipazione anche degli italiani. Quelle truppe, 40.000 uomini, costituirono il II Corpo d’Armata. Erano formate dalle brigate Salerno, Napoli, Alpi e Brescia, un raggruppamento di artiglieria pesante, un reggimento di artiglieria pesante campale, due squadroni di cavalleggeri della Lodi e dal II Reparto d’Assalto. A riprova che l’Italia si era velocemente ripresa dagli effetti di Caporetto, nell’estate del 1918 gli italiani si trovarono così impegnati anche sul fronte occidentale europeo, contro i tedeschi nella più grande battaglia combattuta dagli italiani in Francia.

Cartolina italiana raffigurante la battaglia di Bligny (14-15 luglio 1918).
La resistenza italiana
Sull’Ardre gli uomini del II Corpo d’Armata avevano fermato l’offensiva tedesca a un prezzo altissimo: oltre 10.000 uomini tra morti e feriti. «Nella vastissima battaglia della Champagne», riportava il Corriere della Sera del 26 luglio 1918, «provocata dalla quinta grande offensiva tedesca, l’azione delle truppe italiane ha avuto una singolare importanza, non per quantitativo di truppe da noi impegnate ma per l’estrema delicatezza del settore affidato alla difesa delle nostre armi. Messi a guardia di una delle principali porte di possibile irruzione teutonica, di uno dei più vitali punti della linea di resistenza, gli italiani sentivano giustamente di essere stati messi dalla fiducia del Comando unico ad un posto d’onore.» Scriveva Luigi Barzini, in una corrispondenza dal fronte di Reims: «L’assalto nemico si è sferrato dopo una preparazione di sei ore di bombardamento di una intensità senza precedenti: sei ore d’inferno. Esplosivi e gas arrivavano frammisti in una vera grandine di granate d’ogni calibro, e i proiettili fumogeni riempivano la vallata delle loro nebbie impenetrabili. Nella oscurità di queste nubi ferrigne, sono avanzati invisibili i tanks tedeschi nel fondo della valle, mitragliando e cannoneggiando da tutte le parti.
Nulla potrà superare in orrore quel bombardamento. Fu un massacro. Seduti sull’erba, le spalle appoggiate ai tronchi degli alberi, in un terreno senza trincee, senza camminamenti, senza ricoveri, ci facemmo ammazzare allo scoperto, fumando una sigaretta dopo l’altra.

I reparti del II Corpo d’armata sfilano davanti al generale Albricci e al presidente della repubblica francese Raymond Poincaré. Foto via Wikimedia Commons
Morale altissimo
Alla sinistra del settore italiano, il terreno tutto cocuzzoli e valloncelli, si prestava alle infiltrazioni, nella opacità delle brume artificiali; e la difesa, resistendo palmo a palmo, arretrava per appoggiarsi sulle linee più forti, preparata alle spalle. […] A mezzogiorno la nostra ala sinistra teneva ancora il villaggio di Marfaux, in fondo alla valle. L’ala destra a nord dell’Ardre, arrivata sulla linea di resistenza, vi si manteneva ostinatamente a furia di contrattacchi. Per averne ragione il nemico, verso le ore 14, ricominciava il bombardamento violentissimo. Qui la battaglia si svolgeva nel bosco folto. Salvo il fondo della vallata, tutto il terreno è coperto da foreste così folte che non è possibile niente a pochi passi di distanza. Di questa invisibilità le truppe d’assalto tedesche profittavano per penetrare con le mitragliatrici, in infiniti rivoletti di infiltrazione. Il combattimento non si svolgeva più sopra una linea; si sparpagliava come una caccia immane. Si combatteva ferocemente, da albero ad albero, da cespuglio a cespuglio. Mentre i nuclei di resistenza reggevano, aggrappati alle posizioni, fervevano così tutto intorno mischie di reparti mobili. Dal principio alla fine della battaglia, durata quattro giorni e quattro notti, tutti i rapporti francesi e italiani che partivano dai Comandi e dagli ufficiali di collegamento finivano con le parole: ‘Morale altissimo’».

Il cimitero militare italiano di Bligny. Sono raccolti i resti di circa 4.500 soldati italiani, di cui 1.366 ignoti. Foto di Garitan, CC BY-SA 3.0.
«Non potendo far altro, facemmo miracoli»
Lo scrittore Curzio Malaparte, al secolo Kurt Erik Suckert, arruolatosi minorenne, nel luglio del 1918 era sul fronte francese dell’Ardre con la brigata Alpi. «Giungemmo nei boschi di Bligny», scrisse Suckert. «Di trincee e camminamenti nessuna traccia: si camminava, si combatteva, si dormiva allo scoperto. […] Poco prima dell’attacco il Comando francese fece distribuire ai nostri soldati dei bidoni di cognac. I fanti bevvero il cognac mescolato con etere, come usavano i Francesi per eccitare le loro truppe. Nella notte fra il 14 e il 15 luglio cominciò la grande offensiva di Ludendorff, l’ultima, la decisiva. […] Nulla potrà superare in orrore quel bombardamento. Fu un massacro. Seduti sull’erba, le spalle appoggiate ai tronchi degli alberi, in un terreno senza trincee, senza camminamenti, senza ricoveri, ci facemmo ammazzare allo scoperto, fumando una sigaretta dopo l’altra. Tutti i comandanti dei battaglioni erano morti. Su ogni due mitragliatrici, ce n’era una fuori uso. All’alba attaccarono con le tanks […]. Era la prima volta che ci si trovava di fronte alle tanks. I Francesi, gli Inglesi, gli Americani, avevano i fucili anticarro. Noi italiani non ne avevamo. […] Alla fine ci venne l’idea di dar fuoco al bosco, davanti alle tanks, che erano, così, costrette a tornare indietro per paura che scoppiasse il serbatoio di benzina. Si combatteva in mezzo alle fiamme». Una resistenza indomita e disperata in cui non venne risparmiata nessuna delle orribili armi della grande guerra.

Curzio Malaparte (1898-1957)
«Verso sera», continuava Suckert, che solo per poco non aveva lasciato la vita in quella battaglia, «rimanemmo quasi senza cartucce, senza bombe a mano. Le mitragliatrici Saint-Étienne non avevano più nastri, le Fiat avevano i caricatori vuoti. La nostra artiglieria aveva subito perdite spaventose. Il 10° da campagna era rimasto con due soli pezzi senza munizioni, e una ventina d’uomini in tutto. La battaglia si protrasse per tutta la notte. La mattina del 16 nuove truppe tedesche si buttarono allo sbaraglio, decise a farla finita, precedute da un violento bombardamento a gas yprite. Le nostre maschere, vecchie e tutte in cattivo stato, non ci servivano a nulla. Per tutto il bosco non si udiva che l’immenso rantolio degli agonizzanti. Dalle due del pomeriggio alle quattro respingemmo diciannove assalti tedeschi, e facemmo sette contrattacchi all’arma bianca. Io comandavo la 94a Sezione lanciafiamme d’assalto, e riuscii a fare qualcosa di buono. Al contatto con le fiamme, le bombe a mano appese alla cintura dei soldati tedeschi, scoppiavano».

Arturo Martini, I morti di Bligny trasalirebbero, Museo del Novecento, Milano. La memoria del sacrificio dei soldati italiani fu amplificato dalla propaganda del regime fascista. Tanto che, al momento dell’invasione dell’Etiopia, Mussolini stesso sottolineò nel suo discorso che «sino a prova contraria, mi rifiuto di credere che l’autentico e generoso popolo di Francia possa aderire a sanzioni contro l’Italia. I seimila morti di Bligny, caduti in un eroico assalto, che strappò un riconoscimento di ammirazione allo stesso comandante nemico, trasalirebbero sotto la terra che li ricopre». Una frase che colpì l’immaginazione dell’artista, che raffigurò la scena riutilizzando una statua precedentemente scolpita come Centometrista.
«Verso il tramonto, l’artiglieria franco-inglese, giunta di rinforzo, e dimenticando che noi pure eravamo vestiti in grigioverde, come i tedeschi, si mise a spararci addosso. Nonostante tutto tenemmo duro e i tedeschi non passarono.» A conferma dell’intensità di quegli scontri, in una pubblicazione del 178° Reggimento Fanteria tedesca si poté leggere: «La divisione italiana che abbiamo di fronte è decimata. […] La nostra mèta è Pourcy ma non possiamo raggiungerla, perché urtiamo contro una potente resistenza. Abbiamo a che fare con Italiani, ai quali i Francesi hanno lasciato l’onore e la gloria di avere le massime perdite».
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