Luigi Cadorna è stato capo di Stato Maggiore dell’esercito fino al 1917. Odiato e temuto, dopo Caporetto divenne il capro espiatorio su cui fu addossata la responsabilità del disastro.
Di Claudio Razeto
Luigi Cadorna era stato nominato capo di Stato Maggiore nel luglio del 1914. La causa della sua promozione era stata la morte del generale Alberto Pollio, stroncato da un infarto: un evento fortuito che aveva portato il suo vice direttamente al comando, all’età di 64 anni e senza aver mai ricoperto un ruolo operativo. Giolitti nel 1908 aveva confidato al re: «Pollio non lo conosco, ma lo preferisco a Cadorna, che conosco».
Austero e rigoroso
Luigi Cadorna era figlio di Raffaele Enrico, il celebre ufficiale della breccia dei Bersaglieri a Porta Pia del 1870 e veterano della guerra di Crimea. Al contrario di Pollio, non aveva simpatie filoaustriache, ma in compenso intratteneva pessimi rapporti con i politici. Era un militare all’antica, tipico piemontese, amante della storia napoleonica, che per uno scherzo del destino si ritrovò, a pochi anni dalla pensione, a comandare gli italiani nella prima guerra moderna della storia. Nel 1912 aveva inviato al capo di Stato Maggiore uno studio su un’eventuale offensiva alla frontiera orientale, con un piano di attacco che dal Friuli doveva portare fino a Lubiana. Quel documento sarebbe stato la base del piano di guerra contro l’Austria nell’estate del 1914. Di lui Ugo Ojetti scrisse: «Duro era, s’intende, perché prima di tutto era duro con sé stesso, in quella vita austera senza riposo, con quel suo vecchio berretto a cono tronco che nessun ufficiale d’ordinanza riuscì a fargli mutare, con quel suo impermeabile nero, sbucciato e verdastro, le cui asole non poterono mai ritrovare tutti i loro bottoni».
Sempre avanti
Non aveva pietà per i suoi soldati e la sua strategia dichiarata era attaccare, sempre, avanzare e un po’ alla volta vincere, per sfinimento del nemico. Durante i sanguinosi assalti al monte San Michele, un comandante di divisione gli disse: «Gli uomini sono stanchi» e lui rispose: «Sono più stanchi i nemici». La trincea nemica venne conquistata la sera stessa. Disse di lui il generale Caviglia: «Era un uomo di forte volontà e di carattere fortissimo. Penso a una di quelle rocce, che si elevano sulla costa del Mar Ligure, contro cui si rovescia invano la furia delle tempeste». Invece a proposito della sua condotta delle operazioni belliche non fu tenero. Scrisse infatti Caviglia: «Nell’ultima grande guerra, nessun esercito ha portato sulla sua fronte a dar di cozzo per anni contro le stesse posizioni, soffrendo gravissime perdite senza il sorriso visibile della vittoria, come noi facemmo sulla fronte Giulia». Infine, riguardo a Caporetto, anche questo militare di lungo corso aggiunse che «fu per noi una sconfitta, non più grande di quelle subite dai nostri alleati e dai nostri nemici».
Nessuna soggezione
Un suo collega altrettanto energico e brutale, il generalissimo francese Ferdinand Foch, aveva dichiarato: «Lo scopo della disciplina non è l’obbedienza ma quello di far combattere gli uomini loro malgrado». Cadorna aderì a quei principi imponendo una disciplina ferrea anche ai suoi ufficiali, che vennero esonerati al primo segno di cedimento o di insubordinazione, dandogli la fama di liquidatore di generali e colonnelli. Il generalissimo francese Foch giunse in Italia, subito dopo Caporetto, per valutare la situazione del fronte italiano dopo la drammatica ritirata iniziata il 24 ottobre e per incontrare il comandante in capo italiano. Era arrivato a Treviso alle 6 del mattino, scontento, burbero, accigliato. Volle andar diretto da Cadorna, a palazzo Revedin. Saluti brevi, spiegazioni lunghe sulle carte topografiche e sui plastici. Foch seduto, senza alzar la testa dalle carte, indica: «Dovete fare questo e questo…». Cadorna in piedi al suo fianco risponde: «È stato già fatto, mio generale». Foch continua: «Dovete inviare l’artiglieria qui e qui…». Cadorna ripete: «L’ho già inviata, mio generale». E Foch: «Bene. E dopo dovete ammassare le truppe qui e qui». E Cadorna: «Ho già inviato una divisione». Un minuto di silenzio, Foch si alza in piedi, la mano tesa verso la mano di Cadorna: «Ma allora è tutto a posto, mio generale ».
Caporetto
Il crollo di Caporetto, secondo lo stesso Cadorna, fu dovuto soprattutto alla mancata obbedienza ai suoi ordini, sia da parte dei generali Capello e Badoglio sia da parte dei soldati, che, a suo avviso, si erano arresi in massa. Il generalissimo Cadorna fece numerosi errori, il più madornale dei quali fu quello di farsi nemici tutti i rappresentanti del governo di Roma, non ultimo Vittorio Emanuele Orlando, che proprio grazie alla débâcle di Caporetto sarebbe tornato a coprire la carica di presidente del Consiglio alla caduta del governo Boselli. I maligni dissero che quello di Caporetto era stato addirittura un complotto ordito da Orlando alle spalle del Comandante Supremo per tornare a guidare il Paese. D’altra parte il generale, con inaspettata preveggenza, prese anche numerose decisioni giuste, come il rafforzamento della linea del Grappa, la realizzazione della cosiddetta «strada Cadorna » che da Bassano arrivava al monte Grappa, e la preparazione della linea del Piave come difesa in caso di crollo del fronte isontino. Fu decisamente ruvido con i suoi sottoposti e incapace di stabilire rapporti collaborativi fra il Comando Supremo e gli ufficiali subalterni, molti dei quali, però, tramavano contro di lui pur di far carriera, facendosi aiutare dai politici e dai giornali.
Tra giornali, memorie e diari
Un comandante d’armata ricordando quegli anni disse: «Io penso che la stampa, la quale invece di illuminare l’opinione pubblica, asservita come era al Comando Supremo, faceva l’apologia di tutto, magnificava tutto e nascondeva gli errori, abbia non poca responsabilità in tutto quanto ci ha colpiti nel periodo meno fortunato della nostra guerra. Un brigadiere generale affermò che ‘nelle corrispondenze dei giornali vi erano esagerazioni, talvolta dei veri romanzi’. Non riuscivano pertanto affatto gradite le esaltazioni e le lodi con cui gli scrittori di siffatte corrispondenze, mossi da ottime intenzioni, concludevano. Alla réclame fattasi fare a mezzo della stampa, si è voluto persino attribuire la rapida carriera di taluni ufficiali». Cadorna, lontano da tutti, condusse la guerra isolato e forse per questa ragione pagò gli errori di tutti. Alla fine della guerra, il generalissimo fu accusato di essersi intestardito nella tattica dei sanguinosi assalti frontali. Ma fu proprio questo il difetto comune a tutti i generali della Grande Guerra, a partire dai francesi e dagli inglesi. Nel grande massacro che andò in scena sui campi di battaglia d’Europa dal 1914 al 1918, Cadorna fece né peggio né meglio degli altri. Il fascismo riabilitò la sua immagine per motivi di propaganda fin dal 1924, nominandolo maresciallo d’Italia insieme a colui che lo aveva sostituito, il generale della vittoria, Armando Diaz. Cadorna morì il 21 dicembre 1928 a sessantotto anni, ancora impegnato a scrivere libri e relazioni a difesa del suo operato e della sua strategia, nella tragica rotta di Caporetto.
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