«Campo Pisano» a Genova è un toponimo che rimanda direttamente al Medioevo, alle guerre tra repubbliche marinare e alla storia tragica di centinaia di prigionieri.
di Andrea Carpi & redazione Chirone
«Campo» a Genova indicava uno spazio su cui era vietato costruire. Collocata appena fuori dalla città difesa dalle mura erette nel XII secolo (le cosiddette «mura del Barbarossa»), questa località era già nota in pieno Medioevo come luogo di sepoltura per prigionieri stranieri. Secondo la tradizione (di cui non è possibile confermare la veridicità) il campo assunse l’appellativo di Pisano dopo la battaglia della Meloria, nel 1284. Si trattò di uno scontro navale decisivo, dopo secoli di lotta, tra le due repubbliche marinare di Genova e Pisa. La flotta genovese, comandata da Oberto Doria, grazie alla strategia e all’uso di galee più moderne (e non per ultimo al probabile tradimento di Ugolino della Gherardesca), riuscì a sbaragliare le navi pisane, che in gran numero vennero affondate.
I prigionieri di Genova
I pisani condotti in città vennero sistemati nell’area del campo. Ben presto ricchi e nobili furono riscattati: riuscirono a salvarsi e tornare a casa. Agli altri il destino riservò la morte per stenti, per fame, per omicidio; il «campo dei pisani» divenne – anche, e soprattutto – il camposanto dei pisani.
Passarono ben tredici anni prima che i sopravvissuti (poche centinaia di uomini, se non decine) fossero liberati, mentre nasceva il detto, drammatico e beffardo allo stesso tempo, «se vuoi vedere Pisa vai a Genova». Il divieto di acquistare terreni e costruire sul campo venne confermato più volte nel corso dei secoli e durò fino a metà del Cinquecento: un decreto del 1523 tolse il vincolo e nel giro di pochi anni, quando le nuove mura inglobarono Campo Pisano, il boom edilizio fu notevole. Ben 47 case sorsero sopra la fonte pubblica di Serzano, mentre nel complesso i nuovi edifici ridussero lo spazio del campo.
Secondo le fonti più diffuse, i morti durante la battaglia navale della Meloria si aggirarono intorno ai cinque o seimila uomini, mentre i prigionieri pisani costretti a marcire fuori dalle mura genovesi furono circa undicimila.
Questo immenso cimitero di guerra oggi è un piccolo spazio di luce, una boccata di fresco tra gli alti palazzi del centro. Quelli del lato a monte, attaccati l’uno all’altro senza soluzione di continuità, sono tutti vecchi di secoli, almeno nella struttura originale. Si tratta di edilizia popolare, piccole abitazioni di artigiani e portuali, scale strette e ripide che salgono per cinque, sei, anche sette piani, un concerto di panni stesi ad asciugare e piccoli vasi di fiori in equilibrio su minuscoli davanzali. La piazza attuale, circa 200 metri quadrati e un palazzo moderno di fronte, è molto diversa da quella che era un tempo. Il mare arrivava a lambire le mura più in basso (non a caso erano dette «mura della Marina») e, proprio sotto la piazza, dove ora si trovano un campetto da calcio e un grande parcheggio coperto, sfociava il rio Torbido.
Illustri testimoni
Secondo le fonti più diffuse, i morti durante la battaglia navale della Meloria si aggirarono intorno ai cinque o seimila uomini, mentre i prigionieri pisani costretti a marcire fuori dalle mura genovesi furono circa undicimila. A Campo Pisano trovarono la propria prigione sia personaggi di importante rilievo politico (come il podestà di Pisa Alberto Morosini, veneziano) sia letterario. Rustichello da Pisa, prigioniero dei genovesi in seguito alla battaglia della Meloria, conobbe proprio qui, qualche anno più tardi, Marco Polo, di cui trascrisse i racconti in quel caposaldo formidabile che è Il Milione. Altro protagonista della battaglia destinato a conoscere un tragico destino (e nel contempo grande fama letteraria) fu il conte Ugolino della Gherardesca, che in seguito ai fatti della Meloria fu accusato di tradimento per aver ritirato le sue navi mentre lo scontro infuriava.
Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino.
Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII 13-18
Reso immortale da Dante, il conte Ugolino trova posto all’inferno proprio tra i traditori della patria. In questo canto della Divina Commedia, il XXXIII, si leggono anche due tra le più famose invettive dantesche, dedicate proprio alle città protagoniste della battaglia della Meloria:
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ’l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona!
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII 79-84
Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
perché non siete voi del mondo spersi?
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