Il «libro del comando» indica genericamente un libro magico, che, secondo la tradizione folklorica diffusa in molte regioni italiane, tra cui il Piemonte e le Langhe in particolare, era stato scritto dal diavolo in persona per consentire a chi lo deteneva la possibilità di realizzare ogni sorta di desiderio, acquisendo potere su persone, animali e cose, determinandone il comportamento e producendo gli effetti voluti.
Di Gianbattista Aimino, Angelo Arata, Gian Vittorio Avondo.
Il libro del comando nella cultura dotta era il De cerimoniis magicis, un’opera attribuita all’alchimista Enrico
Cornelio Agrippa di Nettesheim, come quarto volume, rimasto segreto, del suo De occulta philosophia
libri tres. Benché l’attribuzione sia considerata inattendibile, la fortuna del libro e del titolo attribuitovi fu
notevole e si estese a tutti i trattati di magia cerimoniale, di evocazione degli spiriti da cui ottenere responsi
e rivelazioni. Come si può immaginare, la presenza di libri sospetti diventava più preoccupante se coinvolgeva persone di una certa cultura e maschi, come nel caso del nobile di Visone accusato di aver utilizzato un libro per «disfaturare», cioè per togliere le fatture. Ma non era frequente che la popolazione possedesse un livello culturale sufficiente a far uso di opere scritte: ad avere tali competenze erano soprattutto i membri del clero regolare e secolare.

Una copia del De occulta philosophia libri tres.
La Clavicola di Salomone e il convento di Nizza Monferrato
Uno dei casi più clamorosi emerse ad Acqui nel 1669, nel convento dei Cappuccini, ma riguardava fatti, anche di anni precedenti, che coinvolgevano i frati del convento di Nizza Monferrato. In una ridda di accuse e controaccuse, erano stati denunciati comportamenti sconcertanti: a parte il più prosaico baciare e toccare un’appartenente al sesso femminile, si passava dalla possibilità di farsi «venire appresso una donna vera, reale e nuda» a quella di resistere alla tortura, dall’evocazione di spiriti familiari ai malefici per ottenere l’amore o la morte, dalla polvere calamita bianca battezzata che permetteva di conquistare le donne alla conoscenza dei segreti per rimanere indenni dalle ferite o per rendersi invisibili. In questa congerie di fatti non certo nuovi emergeva però in particolare il riferimento al libro intitolato La clavicola di Salomone: la Piccola chiave di Salomone, o Lemegeton Clavicula Salomonis, è un grimorio, cioè un testo di magia anonimo del Seicento; si tratta di uno dei più famosi libri di demonologia, composto da cinque volumi; nel primo libro, Goetia, composto in gran parte da materiale antecedente al Seicento, con alcune parti risalenti al Trecento, si descrivono i 72 demòni evocati da re Salomone per realizzare il suo tempio, rinchiusi in un vaso di bronzo e obbligati a servirlo. L’ars goetia contiene le formule magiche per invocare questi demòni. Gli altri libri sono Theurgia Goetia, Ars Paulina, Ars Almadel e Ars Notoria e descrivono le operazioni magiche della Goetia, offrendo un sistema di comunicazione con gli spiriti da evocare. L’opera si prestava quindi a divenire un manuale pratico di magia, fornendo istruzioni sui simboli, le procedure, le operazioni necessarie per impedire che le forze del male prevalessero, i preparativi necessari all’evocazione e il modo in cui costruire gli strumenti necessari per i rituali.
È interessante che quest’opera, condannata dal Sant’Uffizio fin dal 1559, comparisse nel 1658 in un convento cappuccino di Nizza Monferrato, ma i vari riferimenti all’opera, alla cabala e ad altri libri di magia dovettero convincere gli inquisitori che frate Andrea, il cappuccino al centro di questa vicenda, dovesse rimanere in carcere e venne dunque compilato un elenco dei libri posseduti dal frate. In realtà nessuno dei libri di frate Andrea aveva a che fare con la magia e il cappuccino fu scarcerato; dopo una decina di giorni richiedeva al vescovo di Acqui di poter ricorrere di persona alla Santa Sede e, ottenuto il permesso, gli fu possibile sottrarsi all’obbligo di rimanere agli arresti nel circuito degli edifici facenti parte della cattedrale e del palazzo vescovile, scomparendo dalla diocesi e
permettendo quindi che il clamore suscitato dalle sue rivelazioni sulla situazione nel convento di Nizza si affievolisse.

Acqui Terme, affresco nel salone del palazzo vescovile che raffigura la diocesi di Acqui.
Evocatori più o meno improvvisati
Nel 1714 un prete di Bistagno si era vantato di saper evocare il diavolo grazie a segreti rivelati da un forestiero turco convertitosi al Cristianesimo (ma che in realtà era nativo di Savona). Nel 1762 un prete di Cremolino era stato accusato di aver esercitato abusivamente l’arte medica, di non compiere con regolarità i suoi doveri ecclesiastici, di non vestire con decenza, di aver svolto attività economiche e commerciali non consone, di essersi impegnato a celebrare un numero impossibile di messe e infine di aver fatto uso di scritti superstiziosi. Nel 1784 a Cagna (oggi San Massimo) il prevosto locale era stato coinvolto nella ricerca di un tesoro che contemplava un rito in cui doveva leggere una formula tratta da un libricino posseduto da un marmorino originario del Canton Ticino. Come si può notare, nel XVIII secolo le opere più tenebrose e occulte hanno lasciato il posto a più raffazzonati libretti e fogli sparsi, utilizzati per scopi pratici da sacerdoti non certo esemplari, o troppo ingenui o troppo furbi; segreti e formule spesso conosciute attraverso il contatto con persone provenienti da altri paesi, secondo una modalità di trasmissione che nel Settecento diventa più frequente, viste la maggiore mobilità nel lavoro e la presenza di soldati stranieri. Si tratta di un fenomeno comune anche ai laici, forse connesso con un’alfabetizzazione più diffusa: nel 1738 è un garzone muratore svizzero a insegnare ai giovani di Melazzo formule magiche segrete per non far sparare le armi e conquistare le ragazze; così nel 1781 anche a Pareto un giovane giustificava il suo tentativo d’imparare a rendere innocue le armi da fuoco, a volare e a far innamorare le ragazze attribuendolo all’insegnamento di un soldato distaccato in paese per combattere il contrabbando. Ancora a Nizza Monferrato, nel 1785, un luogotenente del Reggimento La Marina si era vantato di aver imparato un rituale per far apparire il diavolo da un libro che gli aveva prestato un francese. In quest’ultimo caso, più che di una vanteria si potrebbe leggere il comportamento sbruffone e beffardo di un ufficiale ormai pervaso da uno spirito laico.
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