Là dove l’Adda esce dal Lario formando il lago di Garlate, racchiusa da monti aspri e rocciosi, si trova Lecco, consacrata dalla penna di Manzoni e recentemente rinata al turismo.
di Andrea Accorsi e Daniela Ferro
Abitata fin dall’epoca preistorica, Lecco, già municipio romano, nel Medioevo fu un borgo importante per i commerci e per la lavorazione dei bozzoli e la filatura della seta, libero comune e poi dominata dai Torriani e quindi dai Visconti. Il nome di Lecco, però, è legato indissolubilmente ad Alessandro Manzoni, che qui abitò e trasse ispirazione per molte pagine dei Promessi Sposi. Il nome dello scrittore e dei suoi personaggi è dappertutto: nei luoghi, nello stradario, nelle insegne dei locali pubblici di questo luogo, tra i più caratteristici dei laghi lombardi.
Lecco: non soltanto Manzoni
Arrivando dal lungolario, nella parte settentrionale del borgo antico, la basilica di San Nicolò, il cui altissimo campanile (96 metri) è ben visibile anche da lunghe distanze, fu fondata nel VII secolo, sopra i resti di una fortificazione romana. Ricostruita in stile romanico nel XII secolo su pianta a tre navate, alla fine del Cinquecento fu restaurata nella facciata, nelle scalinate e nel campanile; la facciata in stile neoclassico rivolta verso il lago è settecentesca. L’impianto attuale dell’edificio è opera dell’architetto Giuseppe Bovara, che nel corso dell’Ottocento lo rimaneggiò e ampliò in maniera significativa. L’unica parte originaria della chiesa è la cappella del battistero. All’interno sono conservati affreschi del XIX e del XX secolo; il fonte battesimale è del Cinquecento. Nel 1955, durante lavori di restauro, sotto l’intonaco della volta riemersero frammenti di dipinti del Trecento sulla vita e l’opera di sant’Antonio Abate. Il borgo storico di Lecco era difeso da un castello (un altro era sul ponte visconteo) e da mura, che si possono ancora vedere vicino al sagrato della chiesa e nel tratto che va da via Volta a via Cavour (vallo delle mura). La base del campanile di San Nicolò conserva la torre secentesca, da dove partono lunghi tratti dei camminamenti sotterranei. Dal vallo delle mura si raggiunge piazza XX Settembre, dove in passato si trovavano i magazzini che in occasione del mercato settimanale si trasformavano in empori.
Il mercato e il «palazzo delle paure»
Il mercato era una vera istituzione per Lecco: neppure i magistrati di sanità milanesi riuscirono a farlo sospendere durante la peste del 1630-32, la stessa rievocata da Manzoni nel suo romanzo. La massiccia torre viscontea, addossata ai palazzi nella piazza, ospita mostre temporanee e, ai piani superiori, il museo della montagna e dell’alpinismo lecchese. In un angolo della stessa piazza, l’edificio in stile eclettico neogotico, costruito nel 1905, fu soprannominato «palazzo delle paure» perché, fino al 1964, fu sede dell’intendenza di finanza, con gli uffici delle imposte, del catasto e della dogana. Ha una torre rettangolare, con finestre e trifore, e reca murato uno stemma in marmo con il biscione visconteo; il complesso comprende il contiguo edificio porticato, che mette in comunicazione la piazza con il lungolago. Nel 2012 il palazzo è stato ristrutturato dal comune e adibito a struttura espositiva per mostre temporanee al primo piano; al di arte contemporanea, grafica e fotografia della galleria comunale d’arte con opere, fra gli altri, di Baj, Pomodoro, Rotella; il terzo piano ospita l’osservatorio alpinistico lecchese. Poco distante, nell’interno del borgo, palazzo Belgiojoso è la sede dei musei civici. L’edificio, con un vasto parco adiacente, fu costruito tra Seicento e Settecento e ristrutturato già alla fine dello stesso secolo. Ospita collezioni naturalistiche e archeologiche. Il museo di storia naturale, frutto delle ricerche dell’abate Stoppani, comprende una sezione di mineralogia e una di zoologia che riempie undici sale. Nel museo archeologico sono raccolti materiali provenienti dal territorio provinciale, dalla preistoria all’età del ferro e dalla romanizzazione all’Alto Medioevo. Nella sala dedicata alla metallurgia nel Lecchese, sono in mostra armi in ferro e vasetti a trottola trovati a Castelnuovo, in Valsassina, attribuibili a popolazioni celtiche e preromane.
Villa Manzoni
Percorriamo quindi via XI Febbraio fino a quella che fu villa Manzoni, dove oggi hanno sede il museo manzoniano comunale d’arte, la galleria comunale d’arte, una biblioteca e un archivio. Il museo manzoniano si estende su dieci sale dell’edificio in stile neoclassico costruito prima del XVIII secolo, comprendente rustici e un ampio giardino sul retro, di proprietà della famiglia Manzoni fino al 1818. Negli ambienti al piano terra, rimasti con gli arredi originali, sono conservati manoscritti, prime edizioni, ricordi e cimeli dello scrittore; nel cortile a sinistra si trova la tomba del padre, Pietro Manzoni. Al primo piano, la galleria comunale d’arte raccoglie dipinti di pittori lecchesi o che hanno lavorato nel territorio dal XVI al XX secolo. Da villa Manzoni infiliamo via Amendola per arrivare al ponte Visconti, detto «vecchio», fatto costruire da Azzone Visconti tra il 1336 e il 1338.
«Una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare».
Vicino a esso, sull’Adda, si scorge l’isola viscontea, forse formatasi nel XV secolo con il materiale di riporto dei lavori di allargamento dell’argine del fiume per facilitarne il flusso, dopo che Como lamentava continue esondazioni del lago, a seguito della costruzione del ponte che ne sbarrava l’estuario. In origine l’isola aveva funzioni di difesa, grazie al fortino sopra edificato, divenuto abitazione privata fino agli anni Sessanta. Il resto della superficie è coperto da un giardino alberato. Il suo riutilizzo in chiave turistica e, con esso, la possibilità di accedervi sono oggetto di contenzioso tra il comune e la proprietà.
Pescarenico e i luoghi dei Promessi Sposi
Costeggiando il fiume si raggiunge Pescarenico, descritto da Manzoni come «una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare». Le reti dei pescatori non si vedono più, ma salendo ai rioni della parte alta, come Olate e Acquate, si raggiungono i luoghi della casa di Lucia, non individuabile con certezza.
La chiesa dei Santi Materno e Lucia in piazza padre Cristoforo apparteneva al convento dei frati cappuccini, lo stesso in cui vivevano i personaggi manzoniani fra’ Cristoforo e fra’ Galdino. Il palazzo di don Rodrigo, demolito negli anni Trenta, ha lasciato il posto a un edificio d’ispirazione razionalista. Fu da queste parti che don Abbondio si imbatté nei bravi di don Rodrigo, incontro con cui si aprono i Promessi Sposi.
Il castello dell’Innominato – altro celebre personaggio del romanzo, «cucito» forse da Manzoni sulla vicenda del crudele Bernardino Visconti – è stato identificato con la rocca di Vercurago, risalente al XII secolo. In seguito alla pace di Lodi (1454), il castello segnò a lungo il confine tra il ducato di Milano e la repubblica di Venezia, anche dopo che, nel 1509, fu distrutto dai Francesi. Nel 1902 quello che restava della torre fu mutato dai Padri Somaschi in una cappella dedicata a San Girolamo. Nel piccolo borgo sottostante, chiamato «Malanotte», erano collocati la taverna e il posto di guardia dei bravi. Infine, nel vicino rione di Chiuso si trovano le chiese del Beato Serafino e di Santa Maria Assunta, luogo della conversione dell’Innominato ad opera delle parole di Lucia, prima, e del cardinale Federigo Borromeo, poi. Nei pressi, la casa del sarto che accolse Lucia liberata dal potente signore locale, dopo il suo ravvedimento («Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia», capitolo XXI).
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