Esce in edicola con Il Secolo XIX e in libreria La busta gialla di Marco Francalanci. Vi raccontiamo una storia straordinaria, ma soprattutto vera, perché a volte la realtà storica supera qualsiasi romanzo. Dopo una visita dal fisioterapista, il settantenne Marco scopre di esser stato sottoposto a una serie di punture lombari. Lui non ricorda nulla di questa procedura dolorosa, e interroga la madre Paola, che gli rivela l’esistenza di una busta gialla piena di documenti e lettere risalenti alla seconda guerra mondiale.
Un vero e proprio vaso di Pandora, che ci porta indietro nel tempo nella Genova del 1944 occupata dai nazisti. Paola è una ragazza piena di vita, che nonostante i bombardamenti ha il coraggio di costruire una vita insieme a Luigi, soldato smobilitato e operaio in una fabbrica tedesca. Luigi rischia la deportazione in Germania, e Paola, incinta di Marco, affronta Georg Fischer, alto dirigente della Gestapo, che forse per uno scrupolo di coscienza, forse per calcolo, strappa la cartolina che potrebbe condannare Luigi alla morte in un campo di lavoro tedesco. Un lieto fine, ma solo temporaneo: a pochi mesi di vita, Marco si ammala di una grave forma di meningite ed è di nuovo la volitiva Paola che gira la città alla ricerca di un medico che possa guarire il suo bambino. Incontrerà il professor Giovanni De Toni, primario dell’ospedale Gaslini, che riuscirà a guarire Marco iniettandogli con punture lombari un farmaco sperimentale tedesco, recuperato da Luigi in una frenetica corsa contro il tempo per le farmacie della città. Marco si salva, la guerra è finita e a Genova i tedeschi si arrendono ai partigiani, e quando tutto sarà finito Paola scoprirà che il medicinale che ha salvato Marco è stato sperimentato anche sui prigionieri dei campi di sterminio.
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2 commenti
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Ho appena finito di leggere ” La busta gialla” e non posso non fare i complimenti alla autore che con questo libro mi ha fatto conoscere la mia città in un momento così delicato come l occupazione nazista. Bravo e grazie .
Genova durante la guerra è la protagonista del libro con le sue strade, i suoi monumenti, il porto, i bombardamenti alleati, la fame, la borsa nera, la deportazione in Germania degli operai, la caccia agli Ebrei.
In questa Genova si staglia la figura forte e luminosa di Paola, la madre di Marco che, colpito dalla meningite di Pfeiffer, si salva grazie ai sulfamidici sperimentati in Germania su militari e, su internati dei campi di concentramento (Capitolo 24 Il Gaslini).
La corrispondenza e il diario di Paola ci restituiscono il linguaggio e la cultura degli anni ’40, con una descrizione della vita quotidiana delle famiglie. Paola riferisce con pacatezza anche gli episodi che già allora e più tardi suscitarono controversie interpretative, come l’esplosione della collina di San Benigno.
Alla fine della guerra, ricordando le prove subite, osserva:
[1945] “la vita è sempre contrassegnata da alti e bassi, in pratica senza interruzione. Forse è così per tutti, certo, ma a me sembra di avere attraversato quella brutta esperienza che gli uomini di mare genovesi chiamano bolezumme. È una parola intraducibile, con la quale si descrive l’andamento del mare quando cresce lento, piano piano, prima della tempesta, sicché ogni nuova onda arriva con una frequenza superiore a quella precedente. Non sono onde alte come i cavalloni, ma ne hai appena superata una che subito se ne ripresenta un’altra, e non hai il tempo di prendere fiato perché rischi di bere, prima o poi, e finisci sotto. Non so se per fortuna o per disgrazia, ho imparato presto a nuotare nel mare della vita, un mare che finora mi ha sempre e soltanto mostrato la sua faccia più ostile, ma fino a oggi sono riuscita a fronteggiarlo, superando anche le più violente mareggiate.” Capitolo 24 Il Gaslini, pp. 166-167).
E conclude, con una saggezza limpida da imitare:
“Non si può giudicare nessuno in base all’abito che porta, alla divisa che indossa, al colore della sua pelle, alla religione che professa”. (Epilogo)
Grazie a Marco Francalanci per aver scritto questo bellissimo libro della memoria, per la memoria.
Adelia Bertetto