Descrizione prodotto
Di vino e d’altro ancora. Un libro per imparare a bere e mangiare con la propria testa. Un personalissimo viaggio alla scoperta di vino, cibo, territori e culture dedicato a Gino Veronelli. Dal Barolo al Sangiovese passando per i vini brasiliani, dal pesce alla cucina salentina, dal ristorante dove mangiava Cavour alle avventure di uno chef calabrese a Mosca. Di vino e d’altro ancora è un originalissimo tour enogastronomico, un giro del mondo alla scoperta di sapori inaspettati. Un compendio di tutta la cultura enogastronomica.
DECALOGO DEL VINO
- Il vino non si degusta, si beve.
- Il vino è una questione sempre soggettiva.
- Il vino è una faccenda che attiene alla poesia, non alla scienza.
- Il vino non ama le guide: le considera tutte più o meno false o inattendibili.
- Il vino è succo d’uva fermentato, non è nettare.
- Il vino non ha nulla a che spartire con gli dei.
- Il vino, quando si parla di religione, tende a diventare aceto.
- Il vino è geloso: ogni bottiglia è un universo che mira a essere assoluto.
- Il vino è sensibile alle compagnie, al contesto, al clima… a tutto.
- Il vino è un mistero insondabile, ma è il mistero meno misterioso del mondo.
DALLA PREFAZIONE
INTRODUZIONE
Quando Vincenzo parla o scrive di vino, e di quanto con il vino confina, occorre dargli credito: è in qualche modo, come si dice, competente. La sua storia puzza di vino fin dal concepimento: infatti, la mamma Laura s’invaghì del giovane Giuseppe mentre questi era impegnato a potare una vite di Gaglioppo. Si era a Cirò, nei primissimi anni Cinquanta: il nonno Vincenzo guidava una squadra di esperti potini e innestini che girava per la Calabria dei grandi latifondi curando oliveti, aranceti e vigne. Giuseppe e suo fratello Salvatore erano i più giovani di un gruppo, guidato dal padre, che era stato ingaggiato a Cirò per curare i frutteti e le vigne dei conti Siciliani. E quanto bevevano: tutti e tra loro il patriarca Vincenzo, campione indiscusso! Erano originari di un paese situato sulle pendici boscose della Sila e da generazioni si occupavano di vino, olivi, castagne, agrumi. Possedevano una bella vigna, posta a circa 500 metri di altitudine – nella zona che oggi è parte della DOC Donnici – con vitigni come Gaglioppo, certo, ma anche Greco, bianco e nero, Nerello e Malvasia. Al vino Vincenzo è stato iniziato dal nonno omonimo già in fase di svezzamento, e il vino ha continuato a frequentarlo per tutta la prima infanzia in quei densi riti contadini oggi tracannati e ormai annichiliti dal tempo. Né, per certo, la discesa verso Torino – verso un malinteso benessere che tra i Cinquanta e i Sessanta era il volano che alimentava i sogni degli ignari contadini meridionali – servì per annacquare quell’innato talento: in maniera assai naturale, il Gaglioppo e il Nerello vennero declinati in Barbera e Dolcetto che erano acquistati direttamente dai contadini astigiani (soprattutto in Agliano). Più tardi, Giuseppe con i fratelli Salvatore e Giovanni il vino presero a farlo in prima persona, acquistando le uve da fidati fornitori. Vincenzo il vino continuò a berlo e la sua vicenda personale lo portò, nei primi anni Ottanta, a conoscere a Parigi i vini francesi e a frequentare in Italia la ristorazione di qualità in cui poté, fra i primi, apprezzare quei Tignanello e quei Sassicaia che allora sconvolsero e contribuirono a elevare la qualità del vino italiano.
L’AUTORE
Vincenzo Reda
Calabrese nato alle pendici della Sila, da sempre vive a Torino. Appassionato di editoria e artista, ha lavorato presso radio, teatro e tv e ha all’attivo numerose pubblicazioni con diversi autori Tra cui Di vino e d’altro ancora.